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Riparte da Bruxelles la fuga degli eletti grillini dal Movimento 5 stelle. In principio erano 330 a Roma (nel 2018) e 14 nella capitale belga (nel 2019), oggi invece sono rispettivamente 227 e 9. Vale a dire che quasi un parlamentare su 3 in pratica ha mollato il gruppo pentastellato senza però rinunciare - come invocato in passato da loro stessi - al proprio seggio. A lasciare stavolta è Dino Giarrusso. L'ex inviato delle Iene infatti, stamattina ha annunciato non solo la sua intenzione di abbandonare il gruppo pentastellato ma anche quella l'iniziativa non meglio specificata di fondare un suo nuovo partito.
La giravolta è solo l'ennesimo episodio interno a un partito che appare chiaramente in fase involutiva. Un declino che neppure la "cura" innestata dal nuovo leader Giuseppe Conte pare riuscire a frenare. In primis in termini di presenza territoriale: al voto per le comunali di giugno il Movimento è presente solo in 64 occasioni su 978 (in calo del 38% rispetto al 2021). In secondo luogo per i sondaggi: oggi il M5S raccoglie infatti appena il 13% delle preferenze italiane. Dati impietosi (questi ultimi dalla Supermedia Agi/Youtrend) che però, con la fine della legislatura alle porte, aprono nuovi scenari.
I GUAI
Con sullo sfondo la battaglia legale ancora in corso a Napoli per mano dell'avvocato Lorenzo Borré, le braci della faida tra l'ex premier e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio appaiono sopite. In realtà però sotto la cenere l'attività del fronte dimaiano è forte. In altri termini, non è ancora il momento di provare a riprendersi il partito ma l'opera di delegittimazione costante di Conte prosegue e potrebbe "esplodere" subito dopo le amministrative, quando il fallimento avrà una dimensione numerica. Così nel giro di pochi giorno sono partiti prima alcuni eletti tra cui l'ex ministro Vincenzo Spadafora («Conte ha un deficit politico») per il ruolo marginale ormai rivestito dai cinquestelle nel governo, poi - col peso dello schiaffo in pieno volto subito dal M5S con l'elezione di Stefania Craxi a capo della commissione Esteri del Senato al posto del grillino-putiniano Vito Petrocelli - le voci di un'insoddisfazione generica nei confronti degli uomini più vicini all'avvocato (si tratta dei vicepresidenti Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Paola Taverna, Alessandra Todde e Mario Turco). Infine, le forti recriminazioni per il caso Claudio Cominardi di questa mattina. Il deputato e cassiere grillino infatti, ha postato sui social la foto di un graffito che raffigura una lupa capitolina con le sembianze di Mario Draghi portata al guinzaglio da Joe Biden.
LE ALI
Il pericolo insomma è che le due ali insoddisfatte del Movimento, finiscano per riprenderselo (specie nel caso dei "governisti") o per dilaniarlo fondandone uno nuovo. Se sarà o meno quello di Giarrusso a farlo è tutto da verificare, ma ciò che è certo che attorno ai cinquestelle gravita tutt'oggi un universo di personaggi in cerca d'autore che con ogni probabilità approfitteranno della campagna elettorale per rifarsi avanti. Il coinvolgimento del pasionario Alessandro Di Battista ad esempio, sarebbe un grimaldello che garantirebbe ad una nuova costola del Movimento il supporto di quell'ala militante grillina rimasta delusa dalla permanenza 5S nel governo Draghi. Non a caso lo stesso Conte ha spesso mandato segnali a "Dibba", alludendo a un suo possibile reintegro. D'altro canto le voci di un possibile avvicendamento alla guida dei grillini, con lo scettro tra le mani di Virginia Raggi, non si sono mai placate. Specie perché, al netto del contratto da 300mila euro all'anno appena firmato da Beppe Grillo, il fondatore non pare ancora convinto che quella di incoronare Conte l'estate scorsa sia stata una buona idea.
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Il Messaggero