«Ciao Nicolò, mi raccomando, non correre», nonno Giulio saluta il nipote e prova a farlo sorridere. Nicolò non può correre, cammina appena, e solo...
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Giulio, come sta adesso Nicolò?
«Si dovrà presto operare un'altra volta per rimettere a posto la calotta cranica, adesso ha un buco in testa. Aspettiamo che lo sottopongano a un'altra tac, ci avrebbero dovuto chiamare da giorni ma ancora non sappiamo nulla. Speriamo che facciano in fretta. Nicolò è un miracolato, i medici dell'ospedale di Varese sono stati bravissimi, gli hanno salvato la vita. Se a volte ci sono ritardi nell'assistenza, non dipende certo da loro. Mio nipote è stato ricoverato quattro mesi e dieci giorni, quando è uscito dall'ospedale era come un bambino. Fino a poco tempo fa si muoveva solo in carrozzina, adesso lentamente migliora».
Chi si occupa di lui?
«Io e mia moglie Ines, finché ne avremo le forze e la possibilità. Dallo Stato finora non abbiamo ricevuto niente, solo 5mila euro dalla Regione Lombardia. E anche l'associazione Umanitas di Donatella Gimigliano ci ha molto sostenuti, sia dal punto di vista morale che economico. Noi facciamo salti mortali, stiamo spendendo tutto quello che abbiamo. Ma siamo anziani, io ho 82 anni e Ines quasi 79. Due volte a settimana accompagno Nicolò a fare fisioterapia, privatamente, oltre a quella che fa in ospedale. Provvediamo a tutto, non lo lasciamo un attimo. La nostra vita si è fermata il 4 maggio 2022. Ma poi, quando non ci saremo, che succederà? Mi auguro di avere ancora un poco di salute e arrivare fino a quando Nicolò avrà riacquistato un briciolo di autonomia. Poi andrò a trovare la Stefi e la Giulia». Silenzio, nonno Giulio non riesce più a parlare. «Le passo mia moglie».
Ines, lei ha detto che vi sentite abbandonati.
«È vero, siamo soli e da soli ci occupiamo di Nicolò. Qualcuno mi aiuta da lassù, sono abbastanza forte e la mia forza è Nicolò. Dallo Stato non mi aspettavo niente, so bene che gli orfani dei femminicidi diventano invisibili. Ma dagli amici sì, e invece molti sono spariti, va bene anche così. Spendiamo i nostri soldi per aiutare Nicolò fino a che potremo farlo. Abbiamo dovuto anche pagare, dopo il massacro, una ditta specializzata per pulire la casa di mia figlia. C'era sangue ovunque, non se ne andava. Sono stati bruciati coperte e materassi».
Nel 2022 sono state uccise 125 donne in tutto.
«Non riesco a piangere per mia figlia, e se piango lo faccio da sola perché devo dare forza a Nicolò. Ma lotterò, finché ne avrò le forze, perché non ci siano altre donne vittime come lei. E perché chi commette femminicidi sconti la pena fino in fondo. A mia figlia la buona condotta in carcere non la può riconoscere nessuno».
Alessandro Maja, lo scorso luglio, è stato condannato all'ergastolo. Scrive ancora lettere dal carcere per il figlio?
«Sì, Nicolò ne ha ricevute anche ultimamente. Ma abbiamo visto che leggerle lo fa star troppo male e forse non è più il caso che le legga. Lui ha chiesto al padre: perché ci hai fatto questo? ma quanto valeva la nostra vita per te? Mio nipote soffre in silenzio, non si lamenta mai di niente. Tanti giorni lo vedo triste e cerco di capire. Nichi, gli dico allora, lo sai che le nostre donne sono vicine a noi?».
Ha mai assistito a un'udienza del processo?
«Non sono mai andata in tribunale, ma Nicolò sì. Alessandro ci ha ammazzato per la seconda volta quando, davanti ai giudici, ha parlato male di nostra figlia, ha detto che aveva un'altra relazione. Senza che lei potesse difendersi o replicare. E non ha avuto nemmeno rispetto per il figlio che era lì a sentire tutte quelle cose».
Ha mai avuto sentore che ci fossero tensioni o preoccupazioni in casa di sua figlia?
«Giulia, qualche giorno prima del massacro, ci aveva raccontato che il padre una sera si era seduto sul suo letto e le aveva chiesto scusa. Strano, con il senno di poi, ma chi poteva immaginare una cosa del genere. Probabilmente era tutto programmato. Ma qualsiasi cosa ci fosse, problemi economici o di altro genere, niente, proprio niente può dare una spiegazione. Vorrei guardare Alessandro negli occhi e chiedergli: perché l'hai fatto? Perché? Questa domanda non mi darà mai pace». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero