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Rieccolo, il rottamatore. Dal palco di chiusura della Leopolda, Matteo Renzi torna all’antico. E dallo stesso luogo in cui quattordici anni fa lanciò la crociata contro lo stato maggiore del Pd, stavolta mette nel mirino Ursula von der Leyen. La presidente dell’esecutivo Ue - scandisce il numero uno di Italia viva - «non deve essere confermata alla guida della Commissione europea». Von der Leyen «ha fallito», parte a testa bassa Renzi. Dunque, niente bis sulla poltrona più alta di Bruxelles: «Se sarò eletto, proporrò di votare contro. In Europa serve una leader, non una follower».
Eccolo, l’annuncio che Renzi teneva in serbo per il gran finale della kermesse nell’ex stazione fiorentina. Annuncio che segue i mal di pancia tra i Popolari europei, che hanno sì confermato a von der Leyen i galloni di “candidata di punta” alle urne di giugno, ma non senza dubbi, distinguo e spaccature. Ed è in quelle crepe che Renzi, se sarà eletto a Bruxelles (l’asticella per il successo è un milione di voti, e «secondo i sondaggi più pessimisti ce ne mancano solo 250mila, dipende da noi», galvanizza i suoi) proverà a infilarsi.
L'assalto a Forza Italia
Per farcela, un pezzo della strategia prevede - più che di dichiarare guerra al Pd schleiniano - di lanciare un assalto a Forza Italia. È il bacino dei moderati quello che Iv punta a conquistare nei prossimi 90 giorni. Così si spiegano le stoccate che l’ex rottamatore riserva dal palco ad Antonio Tajani, tacciato insieme a von der Leyen di incarnare una «visione da grigi burocrati», di aver alzato le tasse e di essersi consegnati mani e piedi ai sovranisti. «Tajani e Forza Italia hanno snaturato la visione europeista che c’era in Berlusconi», è il j’accuse. «E io voglio combattere quella scelta a viso aperto».
Ed eccoli i motivi della bocciatura, per Renzi. Nessun passo avanti sui trattati e la governance dell’Ue. E poi «ho chiesto un pugno duro su Orban, non può prendere i soldi europei ed italiani per pagarsi la campagna elettorale e poi non rispettare lo stato di diritto. Ma von der Leyen è rimasta molto timida su questo». E poi ancora: la difesa europea, da portare avanti «coi fatti e non a parole: dov’è la visione di Ursula?». La politica estera: «Von der Leyen è quella che per gestire il Medio Oriente ha mandato Luigi Di Maio. Ma se consideri gli incarichi della diplomazia Ue un dopolavoro per i politici trombati in Italia è finita». Fino a quello considerato il «vero fallimento», il Green Deal. «Un principio fantastico, sacrosanto - comincia l'ex premier - Ma se diventa il modo per uccidere pezzi di manifattura italiana ed europea, e per regalare quote di mercato alle imprese cinesi e italiane che quelle regole ambientali non le rispettano, fai un danno non solo alle imprese, ma anche all’ambiente».
Il peso del no
Su quanto possa pesare sul futuro di von der Leyen il niet renziano, il dibattito è aperto. Non troppo, forse, nei numeri del parlamento Ue, sempre che la stessa posizione non venga condivisa anche dagli altri di Renew. Ed è qui il vero, possibile asso nella manica dell'ex premier, che non ha mai smesso di coltivare i rapporti con gli altri leader europei. E che quindi non è escluso possa riuscire a saldare un fronte "anti-Ursula", che potrebbe vedere tra le proprie file pezzi del Ppe (che la accusano di essersi schiacciata sui socialisti), del Pse (che le muovono l'accusa contraria, essersi lanciata a destra) e, naturalmente, dei riformisti di Renew.
A Firenze in ogni caso, Renzi è un fiume in piena. Parla per oltre un’ora, acclamato dai suoi. Introdotto dalla colonna sonora degli Ac/Dc e da una (nuova) rovente polemica contro Carlo Calenda. Del quale «non tollereremo più gli attacchi», si scalda dal palco Maria Elena Boschi. Renzi prova a mostrarsi più conciliante: «Sul progetto della lista unitaria per gli Stati Uniti d’Europa noi ci siamo. E se serve a mettere d’accordo tutti - annuncia - sono pronto anche a fare un passo indietro». L’impressione, però, è che i passi il rottamatore voglia farne ancora, sì, ma avanti.
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