Forza Italia, la Gardini lascia: ormai è un partito distante dagli elettori

Elisabetta Gardini, alla sua sinistra Berlusconi e Toti, a destra Tajani
ROMA «Lascio Forza Italia. È naturalmente una decisione dolorosa, che ho preso dopo una lunga riflessione e dopo aver constatato che le scelte politiche del...

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ROMA «Lascio Forza Italia. È naturalmente una decisione dolorosa, che ho preso dopo una lunga riflessione e dopo aver constatato che le scelte politiche del partito non sono più quelle che mi avevano spinto ad aderire, a diventare parlamentare europeo e ad accettare di esserne il capo delegazione a Strasburgo. Ringrazio il Presidente Berlusconi per l'affetto e la stima che mi ha sempre dimostrato e che sinceramente ricambio. Ma l'azione politica non poggia sulla mozione degli affetti». Così l'europarlamentare Fi Elisabetta Gardini annuncia il suo addio a Fi. «A lui - sostiene Gardini - continuano a raccontare un partito che non c'è e questo impedisce a Forza Italia di correggere quegli errori che l'hanno portata distante dalla sua base e dai suoi elettori. Chi oggi decide le sorti del partito semplicemente vuole che le cose continuino così. E la volontà di pochi impone questa agonia senza fine ai più. Un'agonia che il presidente Berlusconi non merita davvero per quello che rappresenta per la storia politica di questo Paese».

 «Assolutamente impossibile - sostiene Gardini - portare un contributo. Non esiste un luogo di confronto. Buttiamo a mare il lavoro di militanti, giovani, amministratori locali, sindaci.... di tutte le persone che potrebbero riallacciare i legami con i nostri territori. Tutto questo ha portato Forza Italia lontano dalla sua missione. Non c'è più coerenza tra la ragione sociale per cui è nata e quello che è diventata. Nel mio lavoro di capo gruppo al Parlamento Europeo ho cercato di tenere la barra dritta, battendomi per una partecipazione convinta e leale, ma cercando sempre una adesione critica e lucida, mai connivente con persone e forze che all'interno dell'Unione tentassero di subornare e mortificare la forza e il ruolo del nostro Paese, che dell'Unione è un fondatore. Quella linea di azione non c'è più, sostituita da una accettazione acritica e supina di decisioni prese da altri, in altre capitali europee, spesso senza consultare, e addirittura contro, l'Italia. Non ci sto, e con dispiacere ma con altrettanta convinzione vado via». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero