Marcucci: «Noi renziani entreremo nell’esecutivo, M5S rallenta il lavoro sul programma»

Marcucci: «Noi renziani entreremo nell’esecutivo, M5S rallenta il lavoro sul programma»
«In queste ore si fa un gran parlare di nomi. E' fisiologico, non mi scandalizzo. Però mi aspettavo dai Cinquestelle un maggiore impegno sui temi programmatici....

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«In queste ore si fa un gran parlare di nomi. E' fisiologico, non mi scandalizzo. Però mi aspettavo dai Cinquestelle un maggiore impegno sui temi programmatici. Noi del Pd non abbiamo perso tempo e abbiamo già messo a fuoco parecchio materiale ma abbiamo un po' faticato a far partire il confronto con loro sulle cose da fare. Speriamo tuttavia di iniziare già domani (oggi per chi legge, ndr)». Sono ore concitate per Andrea Marcucci, capogruppo dem al Senato di fede renziana, che risponde con qualche difficoltà alle domande dal cellulare dell'auto cercando di dribblare alcune gallerie.

Senatore Marcucci, si parla con insistenza della riconferma di Conte alla guida di un governo Pd-M5S. Dov'è finita la discontinuità chiesta dal segretario Zingaretti?
«Abbiamo chiesto ai pentastelati discontinuità rispetto al governo precedente sia sulle persone che sul progetto politico. Gli italiani debbono capire che un nuovo governo non nasce con una semplice sostituzione della Lega con un altro partner ma sulla base di un programma alternativo e con altri interpreti. Ma il problema Conte come persona non c'è e mi permetto di sottolineare, da capogruppo, che nei suoi confronti i Democratici hanno sempre osservato il massimo rispetto istituzionale».
A proposito di altri interpreti circola la voce di Matteo Renzi come commissario Ue.
«Questa non credo sia un'ipotesi sul tappeto».
Tutte le componenti del Pd, renziani compresi, faranno parte del nuovo esecutivo?
«Nel rispetto delle prerogative del Quirinale e dell'eventuale presidente incaricato, non vedo preclusioni».
Nei giorni scorsi sono emerse frizioni nel Pd fra renziani e maggioranza. Ha niente da rimproverare a Zingaretti nella conduzione delle trattative coi 5Stelle?
«A me pare che il dato politico che stia emergendo è la sostanziale unità del Pd. E anche il nostro senso di responsabilità. Zingaretti sta trattando assieme a tutto il partito e i gruppi parlamentari gli sono vicini. Che poi sia stato Matteo Renzi per primo ad aprire la strada del confronto con i 5Stelle è un dato di fatto. Poi il confronto è difficile e nessuno è perfetto».
Fra le altre cose chiedete ai 5Stelle una svolta sul tema dell'immigrazione. Avete già definito qualche dettaglio?
«Per ora chiediamo garanzie sul metodo e sugli obiettivi. E' chiaro che ci vorrà un maggiore coinvolgimento dell'Europa e, mi sento di dirlo, anche una maggiore capacità di gestione di un fenomeno complesso come il governo Gentiloni aveva iniziato a fare. Per i dettagli delle cose che dovremo mettere in cantiere con i pentastellati, come dicevo, è ancora presto. Ma per la verità non per nostra responsabilità quanto perché non siamo ancora riusciti ad avviare un confronto nel merito con i 5Stelle a partire da ambiente e lavoro che sono temi che ci stanno molto a cuore».
Però sul taglio dei parlamentari un compromesso l'avete definito.
«Il M5S ha capito che non abbiamo preclusioni a ridurre il numero dei parlamentari. Vogliamo che questa riduzione avvenga senza mettere in discussione la funzionalità del Parlamento e la qualità della rappresentanza dei cittadini. Questo vuol dire, tra l'altro, apportare modifiche ai regolamenti parlamentari e prendere altre misure fra le quali una nuova legge elettorale».
La Lega parla di una manovra di Palazzo che ancora una volta esclude gli italiani dalla scelta del governo.

«Ecco questo proprio non si può sentire. M5S e Lega non si sono presentati assieme alle elezioni del 2018 e hanno fatto un governo. Anzi allora il Pd riconobbe la propria sconfitta. Io ritorcerei su Salvini le accuse di manovra di Palazzo: è stato lui a staccare la spina al governo giallo-verde per ragioni di partito mettendo anche a rischio gli italiani di fronte alla possibilità che scatti il maxi-aumento dell'Iva che il suo stesso governo aveva fissato».
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Il Messaggero