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Esulta l’ala governista M5S che porta a casa 4 dicasteri del governo uscente, con Di Maio, Patuanelli, D’Incà e Dadone. E con Cingolani al ministero della Transizione ecologica, considerato un tecnico d’area, sponsorizzato da Grillo: «Lo abbiamo voluto noi». Mugugna l’area contiana che avrebbe voluto dentro il giurista pugliese (e non certo Colao), in subbuglio non solo gli anti-Draghi ma anche chi nei giorni scorsi era rimasto su posizioni possibiliste, per poi votare sì sulla piattaforma Rousseau. «Altro che governo delle competenze», taglia corto un senatore, «saremo costretti a sostenere Brunetta e Gelmini» dice un altro big. E preoccupa non poco la presenza del leghista Giorgetti al Mise.
Stefano Patuanelli, ministro Politiche Agricole: chi è
LE POSIZIONI
La base fibrilla, prevede «un bagno di sangue» nei consensi, quel 40% che ha detto no a Mr Bce è pronto a farsi sentire. «Ci hanno asfaltati, Forza Italia e Lega contano più di noi», il refrain. «Ne valeva la pena?», si interroga Di Battista. «Il super ministero chiesto da Grillo non c’è», taglia corto la senatrice Lezzi. Nelle chat parlamentari è un fiume in piena di proteste. Ma in ogni caso il Movimento ha incassato più di una vittoria nella partita della squadra di Draghi. «M5S sosterrà l’esecutivo con lealtà e correttezza», dice il capo politico Crimi. «Ringrazio Draghi. Servirò ancora una volta le istituzioni», dice D’Incà.
Ora bisognerà capire quanti pentastellati non voteranno la fiducia. Chi dirà no è fuori, i vertici lo hanno detto chiaramente. A mettersi di traverso a palazzo Madama dovrebbero essere Crucioli, Granato, Lezzi, Angrisani. Probabilmente anche Abate, Mantero, Vanin, Agostinelli, Dessì e Naturale. Ma questi ultimi dovrebbero astenersi o non venire alle votazioni.
A Montecitorio la lista dei dissenzienti è composta da Cabras, Vallascas, Maniero, Raduzzi e, riferiscono fonti parlamentari, perlomeno altri dieci deputati. In forse pure altri parlamentari tra cui Forciniti, Costanzo, Volpi, Giuliodori, Colletti, La Mura, Moronese. Dopo il voto su Rousseau c’è stata una riunione dei frondisti, in diversi si sono tirati indietro ma la lista dei ministri rischia di alimentare il malessere interno. I numeri per un gruppo ad hoc al momento non ci sono.
Ad oggi M5S ha 92 senatori e 190 deputati, i big sono convinti di perderne al massimo una decina in tutto.
«Con Di Maio i rapporti sono buoni e sereni, faccio in bocca al lupo, sa come la penso, non c’è rancore», ha risposto ai cronisti. «Non è un mistero che io ed Ale – ha sottolineato il responsabile della Farnesina - durante questi anni in diverse circostanze abbiamo avuto una visione diversa. Abbiamo condiviso palchi e piazze, al sole e sotto la pioggia, abbiamo lottato e difeso i valori del Movimento 5 Stelle. Ha fatto una scelta che rispetto, ma spero e credo che non sarà un addio».
Ad augurarsi che Dibba possa «ritornare a casa» tutti gli esponenti di primo piano del Movimento, dal capogruppo al Senato Licheri all’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Fraccaro. Parole al miele da chi negli ultimi mesi si era schierato al suo fianco sempre e comunque: «Alessandro è fondamentale per il Movimento. Chi era per no a Draghi si deve sentire a casa», ha spiegato ieri Casaleggio.
LE TENSIONI
Ma l’appello del presidente dell’associazione Rousseau cadrà nel vuoto. Si salverà probabilmente solo chi assenterà o si asterrà. C’è ora chi prevede un esodo che «non si arresterà più», come per esempio la senatrice Granato che ha postato un’immagine con la scritta “Abbiamo abolito il Movimento”. «Qui l’unica coerenza che hanno dimostrato i vertici - afferma - è stata quella di inseguire soldi e potere». Altri, invece, come Lannutti, Morra e Toninelli, sono sulle barricate ma non è detto che ci restino. Molti – sottolinea il primo - andranno via da un Movimento «distrutto dalla cupidigia di potere di pochi, dal servo encomio e dal codardo oltraggio».
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