Premessa: «Siamo in un momento difficile, di crisi, è inutile girarci intorno». Promessa programmatica: «Questo governo deve andare avanti non solo per la...
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Ad attendere il ministro degli Esteri non c'è la fossa dei leoni, ma a malapena la metà degli eletti a Palazzo Madama. Una cinquantina su 103. Mancano Gianluigi Paragone e Barbara Lezzi, ma anche, per dire, Ugo Grassi, uno dei tanti malpancisti che ha annunciato l'addio al M5S.
Alla fine la resa dei conti si conclude in un mezzo sfogatoio. Sul «fallimento» dell'esperimento umbro attacca Stefano Lucidi, sul futuro delle alleanze punge Emanuele Dessì («Dobbiamo collocarci nell'alveo progressista»), Paola Taverna ammette che «manca l'entusiasmo». Danilo Toninelli rimane in silenzio. E Mauro Coltorti allarma tutti: «Si voterà nelle Marche e siamo indietro nell'organizzazione». Ma prima a gennaio ci saranno Emilia Romagna e Calabria. Di Maio prende tempo: sulla prima fa capire che gli eletti sono per chiudere la porta al Pd di Stefano Bonaccini, sulla seconda, la Calabria, lascia aperti spiragli di un'intesa civica, anche se il re del tonno Callipo fa sapere di non essere più della partita.
La fase è così delicata, a partire dalla ricaduta di una possibile sconfitta nella regione rossa per eccellenza, che Di Maio si limita a dire davanti ai senatori che «gli eletti vogliono questo, ma ci confronteremo di nuovo».
IL SEGNALE
I messaggi insomma sono distensivi e servono a bloccare possibili focolai di nuove polemiche. Anche perché oggi il leader politico dei grillini, nonché ministro degli Esteri, partirà per il Marocco e poi sarà in Cina fino a giovedì.
Nel caos calmo dei pentastellati le iniziative per cercare di rompere lo status quo non mancano. A partire da quella del deputato Giorgio Trizzino che con un documento torna «a chiedere un congresso» per fermare «l'accentramento del potere» nelle mani del Capo politico. Una manovra che cerca sottoscrizioni. Ma che riceva un niet dai vertici del Movimento: non se ne parla, ci sarà la riorganizzazione. La massima apertura è invece l'annuncio degli stati generali grillini previsti per la prossima primavera, in primavera. Di Maio, raccontano i senatori critici, è stato comunque consapevole: «Sono disposto ad allargare la squadra come promesso con una segreteria allargata». In un partito che va in ordine sparso, le pulsioni violente non mancano. E così il ministro Stefano Patuanelli è costretto a mettere le mani avanti: «Luigi non si deve dimettere».
I nodi da sciogliere però sono ancora tutti sul tavolo. A partire dalla pratica, diventata surreale del capogruppo alla Camera: entro martedì si potranno presentare le candidature. Davide Crippa, già sottosegretario e mancato questore di Montecitorio, sembra intenzionato a correre. Al momento il suo nome si aggiunge a quello di Raffele Trano e Francesco Silvestri, alle prese con una complicata mediazione per partorire un'unica squadra che possa raggiungere l'agognata maggioranza dei voti previsti dallo statuto della Camera (109).
Per il momento c'è la tregua: i senatori non hanno processato il leader e lui «è sembrato disponibile a farsi aiutare». Ma nulla è stato ancora deciso, al massimo solo rinviato al ritorno del viaggio in Cina del ministro degli Esteri. Con una raccomandazione che arriva da chi gli sta vicino: «Speriamo che in questi giorni non scoppino ulteriori problemi».
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Il Messaggero