Il governo «deve andare avanti, per il bene del Paese e del M5S». In un'assemblea dei senatori che si preannunciava vulcanica il capo politico Luigi Di Maio...
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Ma nella riunione il clima, sottolineano fonti M5S, è «sereno». Anche perché all'appello mancano due dei principali dissidenti di queste settimane: Gianluigi Paragone e Ugo Grassi. Il primo, da quando è nato il governo giallo-rosso, non manca di pubblicare il suo attacco quotidiano al Movimento. Il secondo, su cui anche si sono concentrate le sirene leghiste, da tempo manifesta la sua insofferenza. Al momento nessun addio ufficiale viene registrato. E nella riunione non viene fatto neanche cenno alle modifiche allo Statuto con cui si vorrebbe dare potere «deliberante» all'assemblea. Si parla, invece, di alleanze. E qui la linea di Di Maio è chiara. In Emilia-Romagna e Calabria l'alleanza con il Pd non è praticabile. È una linea che Di Maio rivendica perché il rischio, secondo alcuni suoi fedelissimi, è che il M5S si trasformi in una stampella a una cifra del Pd. Una sorta di «centro alfaniano», si sottolinea. Non è quella la strada che vuole percorrere Di Maio, convinto che appiattendosi ai Dem il M5S perda ulteriori voti, in direzione Lega. Così, alle Regionali di gennaio, si corre da soli. Solissimi in Emilia-Romagna, dove la possibilità di non candidarsi è tramontata anche perché, spiegano dai vertici, «non è quello che vogliono i territori».
Diversamente, in Calabria, un'ipotesi di alleanza c'è, ma con una o due liste civiche. «È con un candidato forte la vittoria non è un tabù», sottolineano fonti del Movimento. Del resto, anche Roberto Fico, tra i kingmaker del governo giallo-rosso, oggi sottolinea la «diversità» del binario nazionale da quello regionale. Dove, sottolineano ai vertici del Movimento, la richiesta che arriva dai territori è quella di correre da soli. E c'è un dato, tra l'altro, che porta Di Maio a dire «no» al Pd: il ruolo del premier Giuseppe Conte. Un'eventuale alleanza strutturale nelle Regionali, si ragiona del Movimento, non potrebbe essere efficace senza una netta discesa in campo del premier. Ben più, in sostanza, della foto di Narni scattata nell'ultimo giorno della campagna umbra.
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Il Messaggero