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«Ho deciso di sospendere a breve il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico. Dobbiamo valutare l’utile d’impresa con l’utile sociale e col danno ambientale. Inoltre, questa attività porta lavoro? L’energia rimane in Sicilia? No. La Sicilia paga un prezzo non dovuto per una risorsa sua. Il danno e la beffa. E allora intendo discutere col governo». Le parole del presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, pronunciate ieri a Palermo arrivano a Roma come una fucilata, quasi fosse l’inizio di una battaglia a suon di “autonomia”, visto che nel gioco possono finire materie strategiche come l’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili nel Mezzogiorno, «il petrolio del Paese» secondo il premier Giorgia Meloni. E a rischiare di pagare il conto sarebbero soprattutto le imprese del Nord.
Un passo indietro. Il ragionamento di Schifani parte dalla seguente considerazione. «C’è un decreto legislativo - spiega il politico - che prevede che sul fotovoltaico non possano essere imposte delle royalty. Però già questi impianti danno il 3% di energia ai Comuni come risarcimento del danno ambientale». Continua Schifani: «Mi chiedo perché non debba essere riconosciuta una quota anche alla nostra regione. Dobbiamo trovare una soluzione che consenta alla Sicilia di chiedere a chi insedia impianti fotovoltaici non soldi ma energia, per avere una bolletta più sottile grazie a ciò che si produce sul nostro territorio».
Come andrà a finire con il governo, si vedrà. Va detto che la Sicilia ci aveva provato già nel 2002 a introdurre una “tassa sul tubo” sul gas proveniente dall’Algeria: l’iniziativa fu bocciata anche dall’Europa.
Resta il fatto che proprio sul fronte energetico il tema della gestione autonoma ha già però sollecitato la reazione di un’altra regione meridionale, non a statuto speciale come la Sicilia. È il caso della Calabria. «Se una parte della fiscalità prodotta dalle società che sfruttano le miniere delle rinnovabili in Calabria», aveva spiegato pochi giorni fa il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, «fosse trattenuta dal territorio, ci sarebbero vantaggi evidenti per i miei concittadini».
LE POTENZIALITÀ
La vera scommessa, dunque, sono le potenzialità che ha ancora il Sud. Il governo è già intervenuto per sbloccare la realizzazione di decine di nuovi parchi, soprattutto eolici, in Puglia, Basilicata e Sardegna. Ma visto che nonostante l’accelerazione nazionale, ancora troppe autorizzazioni sono incagliate a livello comunale e regionale, Palazzo Chigi intende intervenire con una norma che permetta il via libera in tempi record in caso di lungaggini. Cosa accadrebbe, però, se ogni Regione mettesse erigesse nuove barriere burocratiche sulle autorizzazioni, come ha annunciato Schifani?
I rischi sono nelle potenzialità. Basta dire che le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti a fonti rinnovabili hanno superato 340 Gigawatt (54% per l’eolico e il 37% per il solare), secondo i dati di Terna, vale a dire cinque volte gli obiettivi nazionali al 2030. Il 74% delle richieste è distribuito tra Puglia e Sicilia, in prima linea, con Basilicata, Campania e Sardegna. E non va dimenticato che la rotta del gas, come quella dell’energia elettrica si è già invertita: non più da Nord verso Sud, ma da Sud verso Nord. Vale interrogarsi su cosa accadrebbe se le Regioni in cui approdano i gasdotti che arrivano dall’Algeria, dalla Libia e dall’Arzebaijan, chiedessero una “tassa sul tubo”. Intanto, tutte le concessioni sulle centrali idroelettriche venete sono passate nelle mani della Regione guidata da Luca Zaia.
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Il Messaggero