Femminicidi, il procuratore di Tivoli Menditto: «Bisogna obbligare anche i magistrati a fare formazione»

«Due corsi l’anno per poter interpretare i segnali. I processi sono ancora troppo lenti e questo fa aumentare le assoluzioni»

Femminicidi, il procuratore di Tivoli Menditto: «Bisogna obbligare anche i magistrati a fare formazione»
La legge ancora non prevede un elemento fondamentale nella lotta alla violenza di genere: la formazione obbligatoria, non solo per pm e polizia giudiziaria che raccolgono le...

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La legge ancora non prevede un elemento fondamentale nella lotta alla violenza di genere: la formazione obbligatoria, non solo per pm e polizia giudiziaria che raccolgono le denunce delle vittime, ma anche per i giudici che devono emettere le sentenze. Lo spiega Francesco Menditto, procuratore capo di Tivoli, autore insieme alla moglie Paola Di Nicola Travaglini, giudice, del manuale: “Codice Rosso. Il contrasto alla violenza di genere”.

Procuratore, cosa pensa della legge “Codice rosso”? Funziona?
«È una buona legge e ha permesso di fare un passo avanti importante: ha dato una ‘scossa’ alla magistratura, alle forze dell’ordine ordine e a chi si occupa di questo settore. Ha fatto emergere in modo chiaro la necessità di dare tutela alle vittime di violenza, imponendo di farlo in tempi rapidi. Però non è abbastanza. Non basta scrivere una legge, se alla base c’è un fenomeno culturale che deve essere compreso, affrontato e sradicato».

Cosa manca?
«È necessario istituire una formazione obbligatoria per forze dell’ordine, magistrati, avvocati e operatori, anche sanitari, che intervengono nei casi di violenza di genere. La legge prevede una formazione facoltativa e non è abbastanza. Penso che una modifica legislativa in questo senso sia una priorità. La formazione è una cosa diversa dalla specializzazione ed è importante per capire il sistema culturale che sta alla base questo tipo di violenza e per evitare che scattino meccanismi di giustificazione dannosi».

 

 

In che senso?
«Spesso ci sono magistrati specializzati, che fanno parte di pool antiviolenza e che si occupano quasi esclusivamente di questo tipo di reati, ma se non hanno una formazione adeguata alle spalle potrebbero non essere in grado di capire i meccanismi che portano alla violenza di genere. I soldi ci sono, così come i corsi della scuola della magistratura e delle forze di polizia. Sono però facoltativi e occorre renderli obbligatori. Anche un’azione tempestiva, se non c’è un’adeguata formazione, potrebbe non servire a nulla».

Quali sono i rischi?
«Faccio un esempio: se la polizia giudiziaria che raccoglie la denuncia non è in grado di leggere tra le righe e di interpretare le parole e anche i silenzi della vittima, potrebbe non riconoscere un caso di stalking e indicarlo come semplice minaccia. Circostanza che farebbe venire meno l’applicazione del Codice rosso e, quindi, la corsia preferenziale nella trattazione del reato». 

I tempi delle indagini sono velocizzati, ma vale anche per il dibattimento?
«Questo è un ulteriore problema. Il processo è ancora troppo lento. I Tribunali sono intasati, le sentenze arrivano in ritardo e spesso per questo motivo le vittime ritrattano. A Tivoli, dopo che abbiamo potenziato il sistema, sono raddoppiate le denunce. Ci muoviamo sui dati e abbiamo visto che quanto più la sentenza è lontana rispetto ai fatti tanto più aumentano le assoluzioni, spesso perché la donna subisce la pressione familiare e sociale. Chiudendo il processo entro due anni, si arriva all’85% di condanne. Il tempo è un fattore fondamentale».

Come funziona la formazione professionale?
«È necessario conoscere il fenomeno, del tutto particolare e complesso, della violenza di genere. Occorre empatia con la vittima. Posso avere magistrati specializzati, ma, se non conoscono la complessità e il meccanismo della violenza, i fatti saranno ridimensionati come banali, con ciò che ne consegue. Serve una comprensione del fenomeno, come è successo nella lotta alla criminalità organizzata. Chi non conosce la struttura della violenza ai danni delle donne, le sue radici culturali, non è in grado di affrontarla come dovuto. Per esempio, chi ritiene, compresi magistrati e polizia giudiziaria, che le donne non siano libere di vestirsi come vogliono e di uscire da sole, potrebbe ritenere, inconsapevolmente, che quando lo fanno e subiscono violenza “se la siano cercata”. In questo modo si inverte la logica giuridica in base alla quale si deve accertare solo la condotta dell’autore del reato».

 

 

Servirebbe una specializzazione anche dei giudici?
«Assolutamente sì».

Cosa consiglia a una vittima di violenza di genere?


«Telefonare al 1522, rivolgersi a un centro antiviolenza, o a un avvocato super specializzato, in modo da avere un’assistenza nel percorso e anche nella compilazione della denuncia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero