La Consulta: serve una legge sul fine vita

La Consulta: serve una legge sul fine vita
La decisione della Corte costituzionale di “non decidere” la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’assise di Milano nel processo...

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La decisione della Corte costituzionale di “non decidere” la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’assise di Milano nel processo Cappato, ma di sospendere sino a settembre del prossimo anno il proprio giudizio, per consentire al Parlamento di provvedere in modo appropriato con una legge, presenta qualche novità.



Si tratta di novità negli strumenti che la Corte utilizza per svolgere il suo compito di custode della Costituzione.
In precedenza non sono mancate sentenze che hanno respinto o dichiarato inammissibili questioni di legittimità costituzionale, indirizzando al legislatore inviti, o più pressanti “moniti”, perché intervenisse per modificare disposizioni per le quali non era adatto il tradizionale intervento di “demolizione” della Corte, e non era d’altra parte ammissibile la costruzione di una nuova norma da parte della Corte stessa, che è consentito solo quando il contenuto della norma è costituzionalmente obbligato. 

L’ordinanza che la Corte ha adottato sembra ricalcare un modello che segue il Tribunale costituzionale tedesco, quando una dichiarazione di illegittimità costituzionale richiede comunque una nuova disciplina, tuttavia con scelte che rientrano nella discrezionalità del legislatore, oppure quando alla sentenza di incostituzionalità seguirebbero effetti di spesa che devono essere prima fronteggiati.
Se questo è il panorama che può appassionare gli studiosi del processo costituzionale, resta per tutti l’interesse a capire dal punto di vista istituzionale quale sia il significato di questa ordinanza nei rapporti tra Corte costituzionale e Parlamento. Come pure a comprendere nel merito delle questioni sottoposte al giudizio della Corte, quali siano le valutazioni che si possono prefigurare per la attuale configurazione come reato, punito dall’articolo 580 del codice penale, della condotta di chiunque “agevola in qualsiasi modo l’esecuzione” del suicidio. 
Sotto il primo aspetto, quello istituzionale, sono possibili due letture. Il rinvio del giudizio della Corte può manifestare rispetto per il ruolo del Parlamento, che ha il compito e la responsabilità politica di “bilanciare” situazioni e beni costituzionalmente rilevanti e scegliere, con lo strumento appropriato della legge, tra soluzioni diverse ed egualmente rispettose della costituzione. Ma può anche manifestare una pressione, nei tempi e nei contenuti, nei confronti del Parlamento, che di recente ha affrontato il problema del fine vita nel dettare la disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento, ed ha previsto la sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore in caso di prognosi infausta a breve termine. 
Altrettante incertezze vi possono essere nell’ipotizzare, oggi, l’orientamento della Corte sul merito della questione sottoposta al suo giudizio. La attuale configurazione del reato di chi agevola “in qualsiasi modo” l’esecuzione del suicidio è ritenuta non in linea con la costituzione. Ma può essere molto vario e diverso l’ambito e la portata di questo vizio, quindi delle misure per superarlo. 
Sarà la motivazione dell’ordinanza a chiarire quali sono, come e in quale misura convergono o collidono i diversi beni di rilevanza costituzionali che sono in gioco e che il legislatore dovrebbe prendere in considerazione e “bilanciare”. 

C’è bisogno di chiarezza nella definizione di una disciplina. Ma andare oltre le sottili indicazioni dei confini di principio non porterebbe a dire che la Corte invita il legislatore a scrivere la legge sotto dettatura ? Si torna agli aspetti istituzionali. È un equilibrio in un percorso delicato che la Corte seguirà, come sempre, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali e della leale cooperazione tra istituzioni
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Il Messaggero