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«Domani non parteciperemo al voto». Sono da poco passate le 22, Giuseppe Conte svela finalmente ai parlamentari cinquestelle la posizione del Movimento. Solo metà di loro si alza in piedi. L’applauso non è travolgente. Non sfugge che accanto a lui il capogruppo alla Camera Davide Crippa non si spella le mani.
Corrono le agenzie, intanto palazzo Chigi tace. Non sa o finge di non sapere. Prende tempo. «Vediamo come vanno davvero le cose domani» è l’unica voce che trapela. Ma c’è anche chi, forse stupito dalla piega che hanno preso rapidamente gli eventi, si interroga: «Escono compatti?». I ben informati sfoderano i pallottolieri e dicono che almeno 15 tra senatori e deputati sono pronti a lasciare il Movimento per unirsi ai dimaiani. In assemblea però le opposizioni reali sono poche. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà palesa il suo disaccordo assieme ad una manciata di eletti, tra cui Stefano Buffagni. «È finita» sibila chi ha provato a mediare fino all’ultimo. Eppure qualche spiffero continua a passare. Un certo attendismo regna anche tra i fedelissimi dell’avvocato. «Vediamo come evolve se Draghi va al Colle e torna alla Camera» spiega una fonte ai vertici. Aleggiano di nuovo quegli scenari alternativi stoppati più volte dal premier. «Ci sono almeno tre giorni» aggiunge. In questa fase è quasi un’era geologica. Piovono richieste di verifica.
In ogni caso la linea - Mario Draghi e Sergio Mattarella sono d’accordo - è che il premier salirà al Colle. Solo ad aggiornare il Presidente o a rimettere il mandato? È una parte del copione non scritta. Ma il no al “bis” è un punto fermo che Draghi è intenzionato a difendere, anche ignorando le numerose spinte che lo investiranno. Anche declinando il probabile invito di Mattarella a tornare in Aula.
LA MEDIAZIONE
Eppure nel pomeriggio le cose parevano aver preso una piega diversa.
Il solo punto di incontro che si sarebbe potuto trovare sta nel suo discorso al Senato. Il premier però non va oltre quanto spiegato in conferenza stampa martedì. «Tra i 9 punti consegnati da Conte, molti sono nell’agenda di governo e quindi possono esserci dei progressi». Anche, si ragiona, attraverso formule un po’ diverse, «per mettere nel migliore dei modi» i concetti. Per indorare la pillola in pratica. Una posizione che Conte riporta ai suoi a sera. Dopo un buco di un paio d’ore in cui nessuno sa dov’è finito, l’ex premier riversa ai vice la posizione di Draghi. La formula regge per poco tempo. Il “sì” e il “no” ballano più volte. Poi la svolta. «Nuovo cambio di idea. No al voto». Il messaggio rimbalza sulle chat prima che l’avvocato possa convocare i gruppi parlamentari per comunicargli la posizione ufficiale. La base esulta. «È tornato il Movimento delle origini» si legge tra i commenti della diretta Facebook. Ma qualcuno, in chat, giura: «Non è detta l’ultima parola».
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Il Messaggero