«La verità è che Luigi ha troppi dossier aperti e non ce la fa a seguirli tutti». Quando ormai è notte e l'assemblea congiunta del M5S...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato, dice l'ovvio ma che suona come un ultimatum: «Se ci sarà la fiducia e qualcuno voterà no - dice a Il Messaggero - si metterà automaticamente fuori dal Movimento: significa che non crede in questo governo, dura lex sed lex. Le nostre regole parlano chiaro, ma è anche una questione di logica».
I numeri sono ballerini a Palazzo Madama e con 5 voti in meno la maggioranza correrebbe sul filo di lana: uno scarto di due in più a cui aggiungere i quattro del gruppo misto.
In caso di defezioni scatterebbe l'allarme e la richiesta di sponda Fratelli d'Italia. «Ne prenderemmo atto - continua Patuanelli - anche se FdI non fa parte di questo governo e non avrebbe nulla in cambio, questo voglio che sia chiaro».
Ecco, perché seppur in maniera sotterranea si cerca un'estrema mediazione con i senatori ribelli. Ma è complicata. Anche Roberto Fico è in campo, seppur con discrezione, in quanto «uomo del dialogo». Alcuni parlamentari sono riconducibili a lui, altri pare di no.
LA MOSSA
Se Salvini deciderà di non porre la fiducia sarà già un passo in avanti e un aiuto soprattutto a Di Maio. Non a caso tutti aspettano il rientro del titolare del Viminale dal Qatar. Le voci dei ribelli sono frastagliate. Qualche esempio. «Il decreto sicurezza non lo voterò. Anche se ci fosse la fiducia», avverte il senatore Matteo Mantero. È un muro contro muro che sembra tuttavia incrinarsi con il passare delle ore.
Il tempo lascia spazio infatti per un possibile accordo: ieri la commissione che stava esaminando il testo si è dovuta fermare per attendere l'ok della Bilancio sulla copertura delle misure previste ed anche l'esame in Aula arriverà solo ad inizio della prossima settimana. Sarà questo il termine ultimo. «Voglio votare contro questo provvedimento, partito male, ma nel caso di un'eventuale fiducia mi riservo di valutare il da farsi» precisa la senatrice ribelle dei 5S, Paola Nugnes che a fine giornata sembra ancora più possibilista: «I voti in Aula ci sono tutti», dice ricordando che «lo studio del provvedimento non è ancora finito» e che quando lo sarà farà con i suoi colleghi una valutazione. «Lavoriamo - assicura - per trovare una sintesi». In privato si sfoga però così: «Noi non siamo il Pd di Renzi». Anche il senatore Gregorio De Falco sembra aver seppellito l'ascia di guerra: «Abbiamo registrato qualche miglioria anche importante, però il punto di approdo è ancora lontano, ma il lavoro prosegue».
Si tratta dunque sui permessi umanitari e sugli Sprar: sono questi i punti qualificanti richiesti dai pentastellati. Concessioni però che Matteo Salvini non può e non vuole permettersi di mettere sul tavolo. Ne va dell'impianto del decreto. «Non voglio una roba annacquata», dice ai suoi il leader del Carroccio. E dunque si tratta più che altro appunto sulla fiducia. Un'eventualità che a questo punto tutti vogliono scongiurare, per evitare appunto soluzioni drastiche e dirompenti che andrebbero a impattare sulla leadership proprio di Di Maio. C'è tempo fino a lunedì. Poi scatterà l'ordalia.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero