Circa 270 mila imprese del commercio e dei servizi rischiano la chiusura definitiva. L'allarme viene lanciato da Confcommercio nel giorno in cui Governo e Regioni decideranno...
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Se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente, con una riapertura piena ad ottobre, 270 mila imprese del commercio e dei servizi rischiano di abbassare la saracinesca. È la stima dell'Ufficio Studi Confcommercio del rischio di chiusura delle imprese del terziario di mercato
Quella di Confcommercio è «una stima prudenziale che potrebbe essere anche più elevata perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio, molto probabile, dell'azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell'elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%. Un rischio che incombe anche sulle imprese dei settori non sottoposti a lockdown».
«Su un totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell'ingrosso e dei servizi - viene spiegato nel rapporto dell'Ufficio Studi di Confcommercio - quasi il 10% è, dunque, soggetto ad una potenziale chiusura definitiva. I settori più colpiti sarebbero gli ambulanti, i negozi di abbigliamento, gli alberghi, i bar e i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. Mentre, in assoluto, le perdite più consistenti si registrerebbero tra le professioni (-49 mila attività) e la ristorazione (-45 mila imprese). Per quanto riguarda la dimensione aziendale, il segmento più colpito sarebbe quello delle micro imprese - con 1 solo addetto e senza dipendenti - per le quali basterebbe solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell'attività».
Le stime elaborate incorporano un rischio di mortalità delle imprese «superiore al normale - conclude l'Ufficio Studi - per tener conto del deterioramento del contesto economico, degli effetti della sospensione più o meno prolungata dell'attività, della maggiore presenza di ditte individuali all'interno di ciascun settore e del crollo dei consumi delle famiglie». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero