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Rocco Casalino, in una rara pausa tra una comparsata tivvù e l’altra, come nemmeno Burioni o Fabrizio Corona, ha partecipato al summit dell’Hotel Forum per l’investitura di Conte leader M5S, e la pensa così lo spin doctor dell’ex premier: «Conte vuole rientrare in politica con l’obiettivo di tornare a Palazzo Chigi».
Anche Napoleone tornò dall’esilio per ridiventare imperatore. E non c’è ex regnante che non voglia tornare ad esserlo. Basti pensare a tutta la serie degli ex premier italiani, incapaci di vivere serenamente la vedovanza da Palazzo Chigi (Renzi per esempio, ma Gentiloni no ed è un caso raro) e vogliosi di ritornare al passato. Soltanto a Prodi è riuscito, ma dieci anni dopo la prima volta, di tornare capo del governo. Ma appunto erano passati dieci anni (dal 1996 al 2006) e tra dieci anni chissà se Conte - che vuole tornare in modalità rivalsa o vendetta come il Conte di Montecristo - esisterà ancora politicamente, vista la velocità supersonica con cui ormai si muove la vita e anche quella del Palazzo e intorno al Palazzo. Ma soprattutto, Conte non è Prodi. Ha un’ambizione che il Prof con la maiuscola non ha così smaccata e l’ambizione («Ne ha troppa il mio Giuseppe», disse di lui il papà appena l’avvocato di Volturara Appulia si affacciò alla scena pubblica) in politica se non ben maneggiata e tenuta a bada gioca brutti scherzi.
E comunque: il progetto di Conte di tornare a Palazzo Chigi come guida di M5S, per quanto sia improbabile ma l’uomo è fortunato, si basa su questo assunto: i 5 stelle non riavranno mai i voti che hanno avuto finora, ne avranno se va bene la metà ma nel sistema proporzionale che forse verrà bastano e avanzano per portare il leader stellato a Palazzo Chigi.
L’ironia o la tragedia della storia vuole che simmetricamente al desiderio di ritorno a Palazzo Chigi da parte del Conte di Montecristo si stia muovendo nello stesso modo in America l’ex presidente Trump. Ricomparso in queste ore annuncia: «Sarò di nuovo alla Casa Bianca». I due del resto si stimavano e hanno rappresentato in parallelo, ognuno dalla propria sponda dell’Atlantico, la stagione del populismo. E un “populismo temperato” è quello che Giuseppi intende adesso proporre.
Per questo insomma, per un Conte Ter, assurdo che possa sembrare ma lui si ritiene figura pragmatica e fatta apposta per governare, l’ex premier spodestato ha preso il taxi M5S. Per rimettersi alla scrivania in quella stanza dei bottoni a Palazzo Chigi nella quale non trovò grandi bottoni la prima e la seconda volta, proprio come confessò Pietro Nenni divenuto vicepresidente del Consiglio. Nella testa gli risuonano gli applausi dei dipendenti di Palazzo Chigi, peraltro equanimemente distribuiti fra i vari premier defenestrati, gli mancano Bruxelles e i convenevoli con Frau Angela e Monsieur Macron, i sondaggi mezzi fasulli sulla popolarità, le conferenze stampa con un’ora di ritardo, il dare ragione a tutti e a nessuno, fra ciuffo e pochette. Conte rimpiange tutto questo e lo rivuole.
Però quando si esce dalla politica, è difficilissimo rientrarvi, specie nella posizione precedente. E soprattuto con un partito balcanizzato, preda di correnti e odii intestini, con Grillo unica figura carismatica e una miriade di personaggi piccoli e attaccati solo al proprio potere personale. Non solo. Il milione e oltre di like che il discorso dell’addio contiano a Palazzo Chigi ha riscosso vale per un attimo, poi la gente tende a dimenticare. Gli idoli ingialliscono subito. E guai poi a far affidamento sulla nostalgia. Che in politica, quando esiste, non ha mai costruito alcunché. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero