LEGGI ANCHE Azzolina sotto attacco: dopo Bonafede si apre il fronte scuola
Traduzione: Conte si salverà se il decreto rilancio da 55 miliardi riuscirà davvero a far ripartire l’economia messa in ginocchio dal Covid-19. E se non ci sarà una recrudescenza dell’epidemia che obbligherebbe a un nuovo lockdown. Con tutte le conseguenze connesse.
Il decreto rilancio, «pari a due manovre economiche» come ha sottolineato lo stesso premier, non è infatti replicabile a breve. Soldi non ce ne sono. Quelli tirati fuori, e caduti a pioggia sul Paese senza una strategia precisa se non quella di aiutare chi ha bisogno (dai cittadini alle imprese), sono tutti in deficit e vanno ad incrementare un debito pubblico già altissimo. Dunque la prossima sfida di Conte e del governo rosso-giallo è evitare di fare il bis del decreto “Cura Italia” di marzo, i cui effetti sono stati negati e paralizzati dalla burocrazia. Così oggi il premier, alla Camera e al Senato, oltre a ripetere che era necessario far ripartire il Paese prendendo «un rischio calcolato», annuncerà per l’ennesima volta un provvedimento per la semplificazione amministrativa.
La svolta e un po’ di ossigeno potrebbero arrivare in autunno inoltrato quando, se tutto andrà bene, l’Italia riceverà circa 100 miliardi a fondo perduto (senza aggravio del debito) grazie al recovery fund proposti da Francia e Germania, da cui prenderanno la luce i Covid-bond: il primo esempio, storico, di emissione di titoli di debito comunitario. Belzebù fino a ieri per i tedeschi. E il demonio, tutt’ora, per Olanda, Svezia, Danimarca e Austria. Ma i Paesi Nordici, che insistono nel negare le sovvenzioni e continuano a parlare solo di prestiti, con ogni probabilità, dovranno però piegarsi al diktat di Angela Merkel: la Cancelliera, a poco più di un mese dall’inizio del semestre di presidenza dell’Unione europea, ha deciso di rispolverare il suo europeismo per evitare che la pandemia da Covid-19 portasse alla morte anche dell’Unione europea. Ed è difficile, se non impossibile, che gli Stati satelliti di Berlino possano resistere al pressing tedesco.
Un po’ come la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che sembra orientata a sedare la zuffa aggiungendo ai 500 miliardi a fondo perduto, altri 500 miliardi in prestiti. Il parto dei Covid-bond è anche l’occasione per Conte di sminare la strada del governo da un’altra bomba innescata da tempo e pronta esplodere: l’adesione al Fondo salva Stati (Mes).
LEGGI ANCHE Conte: «Le banche devono fare di più, non è il tempo delle movide. Dal 25 maggio test sierologici volontari»
I 5stelle, prigionieri della loro propaganda populista, continuano a dire che i 36-37 miliardi del Mes non vanno presi. E questo anche se sono sparite le tanto temute condizionalità che, come è accaduto alla Grecia, venivano accompagnate dallo sbarco della Troika del Fmi, Bce e Commissione Ue: il commissariamento delle politiche economiche del Paese cui ne faceva ricorso.
Però i soci di maggioranza non sono dello stesso avviso: il Pd, Leu e Italia Viva non hanno intenzione di perdere i 36 miliardi da destinare alle spese sanitarie dirette e indirette. La partita si chiuderà a fine giugno, quando Conte porterà in Parlamento un “pacchetto” con dentro il recovery fud, il Mes, i 100 miliardi del Sure per la cassa integrazione e i 200 miliardi della Banca europea per gli investimenti per la cassa integrazione. E a quel punto per i 5Stelle votare “no” sarà impresa difficile, in quanto vorrebbe dire bocciare anche i 100 miliardi a fondo perduto del recovery fund. Almeno su questo scommettono il premier e il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero