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Quasi un terzo del tempo che i ragazzi passano in aula a scuola, lo passano smanettando sui propri smartphone mentre il professore spiega o interroga un compagno. Fatto sta che così facendo, un terzo della lezione è persa. E questo è solo uno dei tanti aspetti che sono emersi dall'indagine conoscitiva sull'impatto del digitale sugli studenti della Commissione Istruzione del Senato che, dopo due anni, oggi viene conclusa e consegnata a Governo e Parlamento insieme a delle raccomandazioni per arginare tutti i danni che derivano dall'utilizzo senza norme e senza controlli di social e web da parte dei minori di 14 anni. E tra queste, quella di vietare lo smartphone in aula. D'altra parte, racconta il senatore Andrea Cangini, relatore dell'indagine e da sempre attento ai pericoli digitali dei più giovani, «basti pensare che i capi delle aziende della Silicon Valley hanno vietato ai loro figli più piccoli gli smartphone, l'uso dei social e hanno scelto scuole non digitalizzate».
LE INDICAZIONI
Se negli ultimi giorni hanno fatto molto clamore i casi come quello della studentessa romana tredicenne che si è suicidata probabilmente dopo essere stata bullizzata a scuola e sul web, questo pomeriggio dai palazzi della politica arriva un segnale di forte attenzione verso quel mondo con l'esame del documento conclusivo dell'indagine.
Nel corso dell'indagine sono stati ascoltati alcuni dei più importanti esperti degli ambiti trasversali che tocca il fenomeno, dal neuropsichiatra di fama mondiale Manfred Spitzer allo psicoterapeuta Andrea Marino, dell'Istituto di terapia cognitivo-interpersonale di Roma, ed è venuto fuori un panorama molto preoccupante dove, continua Cangini, «spesso le regole del mondo reale non valgono sui social, dove non sei obbligato a esporti con il volto libero ma puoi nasconderti facilmente, dove ti puoi iscrivere con un nome di fantasia così che poi in caso di reato sei difficilmente perseguibile». Per il professor Spitzer poi, lo smartphone per i ragazzi non è più un oggetto ma è diventata una parte del proprio corpo e ora diventa difficile toglierlo, un po' come volergli amputare un arto o levare la dose di mano a un drogato in astinenza. E da questo poi scoppiano reazioni violente.
I NODI
Ma i problemi, continua Cangini sono tanti, «sicuramente quelli più gravi che arrivano all'istigazione al suicidio o il suicidio stesso, l'autolesionismo, ma ce ne sono altri come l'autoisolamento che è ancora più cresciuto con la pandemia ma anche il fatto che rinunciare a leggere e scrivere su carta, sviluppa meno il cervello e il senso critico. Per contrastare tutto questo ci vogliono norme ma anche un coinvolgimento forte dei genitori che dovrebbero controllare e vietare, al pari di come vietano a un figlio minorenne di guidare l'auto».
Il Messaggero