Autonomia: perequazione e servizi uguali per tutti i nuovi paletti del governo

Il governo riapre il dossier delle autonomie regionali. E lo fa annullando sostanzialmente tutto il lavoro fatto dal precedente governo che aveva prodotto le controverse bozze di...

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Il governo riapre il dossier delle autonomie regionali. E lo fa annullando sostanzialmente tutto il lavoro fatto dal precedente governo che aveva prodotto le controverse bozze di intesa per trasferire funzioni, personale e risorse a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, ha riportato completamente indietro le lancette dell’orologio, ripartendo praticamente da zero. Lo ha fatto predisponendo una «legge quadro», una sorta di cornice che fissa preventivamente dei paletti entro i quali le richieste di autonomia dovranno muoversi. Il principio dal quale si parte è che su tutto il territorio nazionale andranno garantiti livelli essenziali di prestazioni. I famosi Lep che, almeno stando alle premesse della bozza, dovranno essere uniformi dalla Lombardia alla Calabria. Il finanziamento dei Lep, spiega poi la bozza, dovrà avvenire attraverso i fabbisogni standard, in pratica la giusta quantità di risorse calcolata ad un costo equo che spetta a ciascun territorio per assicurare i Lep. Vengono poi riconosciuti altri due principi: quello solidaristico e il rispetto degli equilibri di finanza pubblica. Anche qui tradotto: le Regioni più ricche dovranno garantire un trasferimento di risorse a quelle più povere per garantire anche ai cittadini di queste ultime di ottenere servizi adeguati. Viene poi spiegato che, se da questo procedimento dovessero emergere nuovi costi per lo Stato, questi ultimi andranno coperti. Ma cosa succede se entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge che recepisce le intese tra Stato e Regione i Lep e i fabbisogni standard non sono stati elaborati? La risposta a questa domanda è importante, anche perché è stata uno dei punti più controversi delle bozze di intesa di Veneto e Lombardia. In quei testi si riconosceva alle Regioni un finanziamento per le funzioni trasferite, almeno pari a quello medio pro capite nel resto del Paese. 


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CAMBIO DI ROTTA

In pratica un trasferimento di fondi dalle Regioni più povere a quelle più ricche. Cosa dice invece il testo di Boccia? In questo caso per le funzioni trasferite alla Regione, viene riconosciuto esattamente quanto già speso dallo Stato in quel territorio per quel determinato compito. Insomma, se Veneto o Lombardia volessero garantire più servizi, dovrebbero farlo o a parità di costo o aumentando il prelievo fiscale sui propri cittadini. Nel campo della cosiddetta “perequazione”, ossia il trasferimento di soldi da chi ha più risorse a chi ne ha meno, rientrano anche le infrastrutture. Infine, spiega la bozza, in caso di esigenze di finanza pubblica (tipo una crisi come quella del 2011), il governo potrà imporre alla Regione che ha ottenuto autonomia, forme di partecipazione al risanamento dei conti statali. Altra novità riguarda l’introduzione di un Commissario ad hoc che potrà contare su una struttura di missione istituita presso la Presidenza del Consiglio. Questi, dopo l’approvazione dei Lep, degli obiettivi di servizio e dei fabbisogni standard dovrà occuparsi della messa a punto dei decreti riguardanti i beni e le risorse finanziarie, umane e strumentali. Il tutto con il contributo dei rappresentanti indicati di volta in volta dalle regioni interessate. La bozza della legge quadro, proprio perché recepisce quei requisiti minimi per non rendere le intese penalizzanti per il Sud e per non spaccare l’Italia, non è piaciuta al governatore del Veneto Luca Zaia, che ha giudicato il documento «non sottoscrivibile». Pronta la risposta del ministro Boccia, che venerdì illustrerà il testo alla conferenza Stato-Regioni, che ha tenuto a ricordare che «le bozze di una norma solitamente non devono essere sottoscritte ma discusse».
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Il Messaggero