Fino a ieri sembrava uno dei pochi punti fermi. Certificato da un comunicato congiunto del ministro per gli Affari regionali Erika Stefani, e dal vice ministro dell’Economia...
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Una serie di osservazioni non ancora “formalizzate”, ma che starebbero creando nuove tensioni all’interno del governo e che sarebbero in queste ore oggetto di una trattativa serrata. E, ancora una volta, riservata. Del resto, che l’accordo con il ministero sia ancora scritto sulla sabbia, in realtà lo ha implicitamente ammessolo stesso ministro Stefani che, sul sito del dipartimento per gli Afafri Regionali della Presidenza del Consiglio, dove ha pubblicato le bozze d’intesa con le Regioni, parla semplicemente di un «accordo di massima» con il Tesoro.
IL PUNTO CENTRALE
Il punto centrale è che, per come le intese sono state scritte, non è vero che saranno a costo zero per lo Stato. Sotto la lente, per esempio, è finito il periodo transitorio di tre anni che dovrebbe portare dai costi storici ai fabbisogni standard per determinare l’ammontare delle risorse che le tre regioni avranno a disposizione per finanziare le funzioni trasferite dallo Stato. In questo periodo, si legge nelle bozze, «l’ammontare delle risorse assegnate alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui alla presente intesa non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse».
IL DETTAGLIO
Non è un dettaglio secondario. Sia la Lombardia, che il Veneto che l’Emilia Romagna hanno valori di spesa pro-capite che si posizionano al di sotto della media nazionale. Dunque, non appena si saranno sganciate dallo Stato, le risorse per i servizi trasferiti saranno destinate ad aumentare. Di quanto? Qualche conto l’ha fatto l’agenzia di rating Fitch, che due giorni fa ha pubblicato un report proprio sul regionalismo differenziato.
Così come sono scritte le intese comporterebbero un aumento dei bilanci di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna fino al 50%. Solo la Regione governata da Luca Zaia, potrebbe contare su un surplus di 6-6,5 miliardi di euro. A scapito di chi? In un altro documento del ministero dell’Economia, firmato dal capo dell’ufficio legislativo Francesca Quadri messo a punto un paio di settimane fa, questa domanda era già emersa. «Non è chiaro», era scritto in quel parere, «se l’eventuale maggiore onere (...) sia a carico delle rimanenti regioni (con conseguenti presumibili contenziosi) o sia a carico della fiscalità generale, con conseguente necessità di rinvenire la necessaria copertura finanziaria». Ma c’è anche un altro punto dell’annunciato accordo con il ministero che sarebbe finito sotto la lente dei tecnici.
Quello in cui viene stabilito che «l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio della Regione dei tributi compartecipati o oggetto di aliquota riservata rispetto alla spesa sostenuta dallo Stato nella Regione o, successivamente, rispetto a quanto venga riconosciuto in applicazione dei fabbisogni standard, anche nella fase transitoria, è di competenza della Regione».
Questo è il vero grimaldello che Veneto e Lombardia vorrebbero utilizzare per trattenere nei loro territori una parte maggiore delle tasse raccolte dai cittadini. Insomma, entrate statali delle quali le Regioni vorrebbero appropriarsi ma sulle quali, in realtà, non hanno nessuna titolarità.
GLI EFFETTI
Non solo. C’è poi un altro tema che resta sul tappeto e che già era stato sottolineato dal ministero dell’Economia: il depauperamento dei ministeri romani. Prima di procedere a qualsiasi trasferimento di risorse, aveva spiegato via XX settembre, sarebbe necessario fare delle quantificazioni esatte della spesa attualmente sostenuta dalle amministrazioni statali, anche perché quelle stesse amministrazioni dovranno essere “ridimensionate” a seguito del trasferimento di risorse alle regioni. Per alcuni ministeri, come quello dell’istruzione, lo svuotamento sarebbe rilevante. Secondo i calcoli più accreditati sarebbero 225 mila i dipendenti che dovrebbero passare dall’amministrazione centrale a quella periferica, un quarto del totale. Qualcosa in più, insomma, dei tre o quattro nodi politici di cui ieri, ha parlato Matteo Salvini. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero