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Rimpalli, ritardi, falle legali e giudiziarie. C’è un’operazione verità dietro il lungo viaggio di Abdesalem Lassoued, il terrorista che ha assassinato due svedesi a Bruxelles, ricostruito in queste ore dagli inquirenti. Tunisia, Italia, Svezia, Norvegia, Belgio. Come è possibile che un migrante irregolare segnalato già anni fa dalla Digos come potenziale jihadista abbia percorso indisturbato in lungo e in largo l’Europa fino al massacro dell’altro giorno? E perché nessuno è riuscito a espellerlo?
Il sospetto attentatore di Bruxelles è stato ucciso dalla polizia
LE DOMANDE
Sono domande che ora corrugano la fronte di tanti leader europei alle prese con la nuova allerta sicurezza. Non fa eccezione l’Italia: al governo si chiedono infatti cosa non abbia funzionato negli ingranaggi delle forze dell’ordine e della macchina giudiziaria che pure si sono mossi durante le molte tappe italiane di Abdesalem: Lampedusa e Bologna, Genova e Terni, Caltanissetta e Porto Empedocle.
Man mano che i tasselli del pellegrinaggio europeo si incastrano, al Viminale e a Palazzo Chigi iniziano a trarre le prime conclusioni. La prima guarda alle regole europee sui migranti oggetto di un braccio di ferro fra gli Stati membri a Bruxelles.
Poi c’è il fronte giudiziario. Politicamente caldissimo, mentre ancora cova lo scontro tra toghe e governo sul decreto Cutro e il rilascio in libertà di migranti ospitati nei Centri di permanenza e rimpatrio (Cpr). Ebbene, se il “soldato di Allah” Abdessalem è riuscito a restare in Italia con buona pace degli allarmi e dunque a far perdere le sue tracce alle autorità, è anche grazie a uno stallo fra potere esecutivo e giudiziario andato in scena sul suo caso. Maggio 2016: Lassoued è a Bologna. Sul suo capo pende da tempo una richiesta di espulsione preventiva, prevista per i «soggetti a rischio». Ma una domanda di protezione internazionale presentata dal tunisino alla commissione territoriale bolognese blocca qualsiasi procedimento. Una scena già vista, fino allo sfinimento, a sentire chi segue il dossier al Viminale. Dove da tempo si segnala il cortocircuito: un provvedimento di espulsione di un migrante illegale ritenuto pericoloso, bloccato e congelato anche solo dalla richiesta di una domanda di protezione internazionale.
Non è un caso se proprio quest’anno il centrodestra al governo abbia imposto una stretta sulla presentazione di queste domande, soprattutto se reiterata, spesso presentate per rinviare o frenare del tutto un provvedimento di allontanamento dall’Italia. Una pratica che da anni intasa i tribunali, peraltro a corto di giudici e personale. Ma anche, talvolta, un rischio per la sicurezza.
I RINVII
Nel caso di Lassoued, il terrorista di Bruxelles, la strategia del rinvio dura poco: un mese. A metà giugno del 2016 infatti la domanda viene rifiutata perché inammissibile: il futuro terrorista viene trasferito in un centro di identificazione ed espulsione di Caltanissetta per il rimpatrio in Tunisia. Ma ancora una volta l’intervento dei giudici blocca tutto: Lassoued si oppone al tribunale del capoluogo siciliano che nell’ottobre 2016 fissa al gennaio del 2017 successivo l’udienza. E nel frattempo, in attesa del verdetto, sospende la decisione della commissione territoriale di Bologna: Lassoued esce dal centro per i rimpatri e svanisce nel nulla. Una premura, quella del tribunale, che è stata pagata a caro-prezzo, ragionano al governo dove vedono un file-rouge tra il caso Lassoued e la nuova querelle sui migranti irregolari liberati dalla giudice catanese Iolanda Apostolico. Con un refrain: «Se uno di loro si rivelasse violento e pericoloso, chi ne risponderebbe? Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero