Tommaso Paradiso: «Cos'è cambiato dai The Giornalisti? Niente, solo il nome»

L'hotel è lo stesso dove tre anni fa a Milano presentò Maradona y Pelé, l'ultimo singolo pubblicato con i Thegiornalisti. Era il maggio del 2019 e...

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L'hotel è lo stesso dove tre anni fa a Milano presentò Maradona y Pelé, l'ultimo singolo pubblicato con i Thegiornalisti. Era il maggio del 2019 e dopo tormentoni e sold out nei palasport la band si preparava a vivere la sua estate più dura, segnata dalle voci relative allo scioglimento. I diretti interessati smentirono, poi si sa come finì: il 17 settembre, dieci giorni dopo il concerto al Circo Massimo, Tommaso Paradiso annunciò sui social la sua uscita dal gruppo, decretandone la fine tra accuse reciproche e lettere di avvocati. Tutta acqua passata: «C'è del buonissimo vino, di là. Non voglio tediare più di tanto con l'ascolto delle nuove canzoni i miei ex colleghi the-giornalisti. Bella questa, eh?», dice il 38enne cantautore romano, che ieri come per chiudere un cerchio è tornato nello stesso albergo, stavolta per lanciare il suo album d'esordio da solista Space Cowboy (esce il 4 marzo), prima di debuttare pure come regista con Sulle nuvole (nelle sale il 26, 27 e 28 aprile).

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Cosa cambia rispetto a quando sulla copertina c'era il nome dei Thegiornalisti?
«Se rispondo male scateno un putiferio. M'immagino già le telefonate degli avvocati».


Quindi?
«Non vorrei essere banale, ma sostanzialmente cambia solo il nome».


Si spieghi meglio
«In studio, all'epoca, c'eravamo solo io e il produttore. Lo stesso vale per questo disco, che ho inciso insieme a Federico Nardelli. Sono ripartito dalla musica con la quale sono cresciuto. Un giorno Paolo Sorrentino mi ha chiesto: Per quale motivo hai iniziato a fare musica. Gli ho risposto: Perché nelle mie canzoni voglio sentire cose che non sento altrove».


Quali?
«Un suono citazionista che guarda tanto a icone italiane, Dalla, Vasco, gli Stadio, Carboni, quanto a giganti della scena rock anglofona. La chitarra che apre Guardarti andare via omaggia Oh My Love di John Lennon. Silvia riprende la sigla della serie tv culto degli Anni '90 College, ma anche una frase che mi ha detto Enrico Vanzina: La vita dura solo un'estate».


Che fa, copia?
«Gli artisti che amo di più sono sempre quelli che hanno citato e copiato molto, da Picasso a Tarantino. Questo disco è il mio testamento (piange mentre spiega che È solo domenica è dedicata a un amico scomparso, ndr). C'è la voglia di fare l'americano, ma anche la fierezza di essere italiano. Lo dico anche in Space Cowboy, letteralmente vaccaro spaziale: Tu vuò fa l'americano, ma nel cuore c'hai Vasco».


Lo ha omaggiato in tutte le salse: si è mai fatto vivo?
«No. E nemmeno io con lui: preferisco non disturbarlo».


Però con Verdone l'ha fatto.
«È stato lui a telefonarmi, in realtà. Però non gli ho mai parlato del mio film: non volevo condizionarlo nel giudizio».


Sorrentino, Vanzina, Verdone: sembra Manuel Fantoni, e forse non a caso in Space Cowboy cita il cargo battente bandiera liberiana.
«Io sono malato di cinema. Passo le ore a parlare con i registi. A Christian De Sica, che gli snob denigrano per i cinepanettoni, ho chiesto di fare il protagonista del video del singolo Tutte le notti: è un ruolo drammatico, stupirà».


Come mai non l'abbiamo vista a Sanremo?
«Non so come sia uscito il mio nome. In gara non ci andrò mai. Rischi di rovinarti per un'esibizione venuta male. Se uno volesse usare il playback bisognerebbe lasciarlo fare. Nell'era dei social noi cantanti facciamo i conti continuamente con le critiche sui social, che sono pesantissime».


Cosa avete in comune lei e il cantante caduto in disgrazia interpretato nel suo film da Marco Cocci?
«Il vivere tutto al massimo. La paura del palco. Ma anche il piacere del vino. Spero di non fare la sua fine».


Ha riconvertito il tour nei palasport in un tour nei teatri (partirà il 25 marzo da Jesolo).
«Era l'unico modo per fare concerti in questo momento». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero