Tina Turner, Noemi: «Noi donne le dobbiamo molto. È stata l'icona del potere femminile»

La cantante romana conosce bene la storia di Tina Turner e sa quanto la "regina del rock'n'roll", scomparsa ieri a 83 anni, abbia influenzato la storia della musica pop

Tina Turner, Noemi: «Noi donne le dobbiamo molto. È stata l'icona del potere femminile»
«Tina Turner? È l'emblema della donna che rinasce. E che si prende quello che le spetta senza chiedere aiuto. Una regina alla quale tutte, in un modo o...

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«Tina Turner? È l'emblema della donna che rinasce. E che si prende quello che le spetta senza chiedere aiuto. Una regina alla quale tutte, in un modo o nell'altro, dobbiamo qualcosa. Anche io, nel mio piccolo», dice Noemi. La cantante romana conosce bene la storia di Tina Turner e sa quanto la "regina del rock'n'roll", scomparsa ieri a 83 anni, abbia influenzato la storia della musica pop degli ultimi quarant'anni, con le sue hit e con la sua attitudine. «Nel 2009 a X Factor Morgan mi affidò una cover di What's Love got to Do with it? Glielo chiedevo dall'inizio del programma: mi fece felice», ricorda Veronica Scopelliti, questo il vero nome della cantante.

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Perché voleva cantarla a tutti i costi?
«Perché la cantavo da anni, prima dell'ingresso a X Factor. Prima a casa, quando ero ragazzina e i miei consumavano gli ellepì di Ike e Tina Turner e di Tina da solista. E poi con la cover band con la quale mi esibivo sui palchi dei locali romani».


Cosa le piaceva di quella canzone?
«La storia. Quando nel 1984 Tina Turner fece uscire What's Love got to Do with it? aveva vissuto la fase più dolorosa della sua vita: il successo con Ike era stato macchiato privatamente dalle violenze psicologiche e fisiche che aveva subito. La canzone era molto passionale e portava con se l'aurea della maturità e della sofferenza di una cantante che dell'amore aveva visto diversi lati. Tutte le dobbiamo qualcosa».


Tutte chi?
«Noi cantanti donne. E noi donne in generale. In quegli anni non si parlava ancora di empowerment femminile, ma il successo che riscosse tornando in pista da sola, lasciandosi alle spalle una relazione tossica, era una bellissima storia di rivincita femminile: recuperò la sua identità, lottando contro i pregiudizi. Era una voce, un'anima, sgualcita. Che fece delle sue imperfezioni anche un pregio. Tirando fuori una forza da leonessa. E quando nel 1989 arrivò The Best fu un trionfo».


Cosa perde il mondo della musica con la scomparsa di Tina Turner?
«Un'icona assoluta. Una donna che ha fatto la differenza. Dopo Whitney Houston, Nina Simone, Aretha Franklin se ne va anche lei. Ci hanno tutte insegnato a prenderci quello che era nostro».


Si ricorda la prima volta in cui ha ascoltato la voce di Tina Turner?
«Avrò avuto meno di dieci anni. Papà e mamma, fan della musica rhythm and blues, mettevano sempre sul piatto vinili di quel genere. Quel graffio mi lasciò qualcosa. E poi ricordo benissimo il video di We Don't Need Another Hero, dalla colonna sonora di Mad Max dell''85, in cui lei era vestita come una guerriera».


La canzone più emblematica?
«Al di là dei grandi successi degli Anni '80 direi Proud Mary, che risale agli anni della collaborazione con Ike. La canto da sempre. Nel 2018, quando decisi di fare un tour in cui omaggiavo le mie radici soul e blues, la misi anche nella scaletta. Quando sono un po' giù di morale, vado su YouTube a guardarmi il video del 2000 dei suoi concerti a Wembley, in cui cantava Proud Mary circondata dalle ballerine, scatenandosi».


Perché?


«Quell'esibizione mi trasmette una forza e un'energia che non so descrivere: anima, passione, sofferenza. Stava una spanna sopra tutte le altre». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero