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Con l’ombelico ha rotto i tabù, con Carràmba ha portato in tv la gente comune, ricongiungendo fratelli, genitori e figli, vecchi amanti, con i fagioli è stata la vicina preferita degli italiani. Poi c’è la Raffaella Carrà cantante, quella che con i suoi successi discografici - 60 milioni di copie vendute, oltre 20 tra Dischi d’oro e di platino, quando i dischi si vendevano davvero - ha tracciato una linea invisibile che ha unito l’Italia al Sudamerica, passando per la Spagna. Facendo scoprire agli italiani le atmosfere festose e briose del mondo latino anni prima dell’invasione del reggaeton. E ai latini le belle melodie italiane, con canzoni scritte da autori come Cristiano Malgioglio, il suo maestro Gianni Boncompagni, Andrea Lo Vecchio, Franco Bracardi, Paolo Ormi, tradotte, reincise e diventate hit internazionali.
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Gli emigrati
«Un’icona del nostro paese», commenta il re dei parolieri italiani, Mogol. Su Twitter sono in molti gli spagnoli che chiedono di ricordarla oggi prima della semifinale degli Europei 2020, che vedrà sfidarsi in campo proprio l’Italia e la Spagna, con un minuto di silenzio o con il lutto al braccio. In Spagna e in Sud America la Carrà cominciò ad essere amatissima sin dal 1974, l’anno dell’album Felicità tà tà, quello di Rumore: il primo ad essere distribuito anche sul mercato iberico. Inaugurando una tradizione portata avanti con Fiesta, Raffaella, Applauso, Mi spendo tutto, Fatalità, Bolero, Hola Raffaella (quest’ultimo realizzato appositamente per la Spagna, intitolato come la trasmissione condotta dalla Carrà, ormai celebrità a Madrid, sul primo canale della tv spagnola tra il ‘92 e il ‘94), fino ad arrivare a Replay del 2014. La Rtve, il più importante gruppo radiotelevisivo spagnolo, la ricorda con il video di un’esibizione al programma Esta Noche Fiesta del ‘77 con En El Amor Todo Es Empezar, riscrittura di A far l’amore comincia tu: «Un’icona che resterà per sempre nell’immaginario collettivo di mezzo pianeta». Capì prima di ogni altro che in America latina c’era un pubblico potenzialmente enorme, pieno di emigrati italiani, che conquistò con la sua gioia: al festival di Viña del Mar cantò nell’82 l’amore libero in piena dittatura di Pinochet. «Da piccola mettevo la parrucca bionda e cantavo la Carrà con mia nonna», disse Penelope Cruz nel 2019 a Cannes. «Sei stata, sei e sarai l’unica regina», twitta Laura Pausini, che il mondo latino lo conosce bene.
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Da Trieste in giù
Cantando amori diversi da quelli che popolavano le canzoni pop dell’epoca, come ha sottolineato il Guardian nel ritrattone tutto dedicato a lei a novembre, anticipò le provocazioni di Donna Summer e Madonna, contribuendo all’emancipazione delle donne forse più delle femministe che negli Anni ‘70 protestavano in piazza bruciando i reggiseni. Provocò anche lei, ma senza mai cadere nel volgare: «Com’è bello far l’amore da Trieste in giù / l’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu», cantava nel ‘78 in Tanti auguri, diventata un inno per la comunità gay. E in Caliente Caliente: «Il mio corpo si muove svelto e un’emozione mi dà». Tiziano Ferro l’ha omaggiata in E Raffaella è mia (lei ricambiò partecipando al video): «Ho miliardi di ricordi bellissimi ma non ne pubblicherò neanche uno», scrive il cantautore sui social, travolto dal dolore. Elodie l’ha omaggiata anche all’ultimo Sanremo con Rumore, in un medley dedicato alle icone pop. A Sanremo, che condusse nel 2001, la Carrà avrebbe dovuto tornarci il prossimo anno: era l’idea del direttore di Rai1 Stefano Coletta, che l’avrebbe voluta anche all’Eurovision in una veste non meglio specificata. La ricorda anche Vasco: «La più bella e la più brava di sempre». Addio, ciclone biondo.
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Il Messaggero