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«Questo tour va avanti da tre anni e io ancora fatico a realizzare», dice dall’altra parte del telefono, con l’entusiasmo di un ragazzino, Nino D’Angelo. Domani sera il 66enne cantautore partenopeo, icona del pop made in Naples, torna nella Capitale con il tour Il poeta che non sa parlare: Nino D’Angelo si esibirà dal vivo sul palco del Teatro Romano di Ostia Antica, sfogliando idealmente le pagine della sua vita e della sua carriera (il tour prende il titolo dall’omonima autobiografia pubblicata nel 2021). In scaletta i successi che gli hanno permesso di diventare il caschetto d’oro più celebre degli Anni ’80, da ‘Nu jeans e ‘na maglietta in giù. «Uno spera sempre di avere un po’ di successo, ma in questo caso è andato davvero oltre ogni aspettativa. E sa qual è la cosa che mi sorprende di più?», sorride.
Quale?
«Le richieste che continuano ad arrivare dal nord Italia, da città come Trento, Verona, Milano. Negli Anni ’80 non avrei mai potuto permettermelo, di andare a fare concerti lì. Mi snobbavano».
Perchè?
«Ero pur sempre uno che arrivava dalla periferia di Napoli: il pubblico aveva dei pregiudizi. E non solo il pubblico. Quelli come me non erano benvisti dalla critica e dagli addetti ai lavori».
Oggi cos’è cambiato?
«Ora va di moda, la periferia: se non vieni da lì, non sei nessuno.
Chi è il poeta che non sa parlare del titolo del tour?
«Sono io. La mia maestra mi chiava così. Diceva che anche quando mi esprimevo male, arrivavo comunque all’anima, al cuore. E per lei era questo l’importante. È stata la mia prima fan (ride)».
Lo show è più un concerto o più uno spettacolo teatrale?
«Un concerto. Ma dicimm’ che si vede anche un po’ di teatro».
Recita, dunque?
«Per certi versi sì. Ma senza un copione. Mi metto a raccontare la mia vita al pubblico, ripercorrendo la mia carriera svelando aneddoti legati al successo. Spiego anche come nasce esattamente il fenomeno Nino D’Angelo».
Come nasce?
«Con ‘Nu jeans e ‘na maglietta, è chiaro. Con quella canzone nel 1982 feci la rivoluzione, nella canzone napoletana».
Cosa aveva di rivoluzionario?
«Prima le canzoni della musica napoletana erano quelle legate alle storie della malavita. Io non volevo essere il cantante delle sceneggiate, anche se Mario Merola mi aveva definito a tutti gli effetti come un suo erede. Io avevo altre ambizioni, più pop: volevo cantare l’amore dei giovani con il linguaggio dei giovani. Lo racconto sul palco».
Ha già pensato a cosa farà dopo questo tour?
«Mi fermerò per un po’. Devo raccogliere idee. E energie. Non sono più un guaglioncello (ride). Comincio ad avere una certa età».
Ha mai pensato a un film sulla sua vita?
«Sì. Mi piacerebbe molto. È un sogno nel cassetto. Ma non so chi potrebbe interpretarmi».
Il nuovo Napoli post scudetto, guidato da Rudi Garcia, la entusiasma?
«È una squadra che sulla carta è ancora forte, anche se Kim in difesa era un gigante e la sua assenza si sta facendo sentire. Non bisogna cambiare troppe cose: sperimenterei poco. Proseguirei sulla linea Spalletti. Cercando da qui a gennaio un difensore che possa prendere il posto di Kim». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero