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Paolo Maurensig, morto prematuramente all’età di 78 anni dopo una breve malattia, era un grande romanziere, che avrebbe meritato molto più successo di quello che ha avuto. Era un autore sospeso tra due mondi. La sua città d’origine, Gorizia, lo poneva simbolicamente tra Est e Ovest, nel cuore di quel mondo mitteleuropeo a cui doveva - come Claudio Magris - gran parte della sua ispirazione. La letteratura tedesca era il suo pane quotidiano. Il suo primo romanzo, La variante di Lüneburg (Adelphi), lo consacrò subito nel 1993. Inevitabile non notare, in quel libro poi tradotto in venti lingue, una stretta parentela con l’ultima straordinaria novella scritta da Stefan Zweig prima di togliersi la vita nel 1942, dedicata proprio al gioco degli scacchi.
Nella sua opera, riecheggiano le atmosfere di certi romanzi di Arthur Schnitzler, ma anche gli elementi delle storie di E.T.A. Hoffmann, presi a modello da SIgmund Freud nei suoi scritti sul “perturbante”, ovvero “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”. Tanti scrittori di thriller non fanno altro che utilizzare le stesse tecniche utilizzate da questo scrittore romantico, e anche Maurensig ne diede prova più volte, in libri rimasti celebri, come “Canone inverso” (Mondadori), concentrato sul mondo della musica, diventato un film di Ricky Tognazzi.
Uno dei suoi ultimi romanzi, “Il diavolo nel cassetto”, è un piccolo gioiello di suspense, che deve molto anche al “Faust” di Goethe, e che fa riflettere su molti temi antichi quanto l’umanità: dove finisce il bene e inizia il male? Chi è il Maligno, e chi il Salvatore?
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Maurensig era uno scrittore ispirato, che seppe spaziare dalle suggestioni gotiche di “Vukovlad, il signore dei lupi” (Mondadori, 2013) a “Il golf e l'arte di orientarsi con il naso”, in cui una partita diventa un’occasione per esplorare i recessi più remoti dell’anima.
Così, Maurensig si occupò anche della vita di un celebre campione, Paul Charles Morphy, in “L'Arcangelo degli scacchi” (Mondadori, 2013); e in “Teoria delle ombre” (Adelphi, 2015, vincitore del Premio Bagutta e del Premio Cortina d'Ampezzo), rivive gli ultimi giorni di vita di un altro fuoriclasse realmente esistito, Aleksandr Aleksandrovič Alechin. Il tema ritorna anche ne “L'ultima traversa” (Barney, 2015). Gli scacchi diventano metafora della vita, ne raccontano meglio di ogni altro gioco l’eterna contrapposizione tra bene e male, in una paradossale corsa verso una vittoria che non è mai definitiva. In fondo, come scriveva lui stesso nel suo folgorante esordio, «se a volte il giocatore viene raffigurato nelle sembianze di un vegliardo dalla fronte corrucciata, questa è solo la rappresentazione emblematica di un'attività in cui si bruciano i giorni, gli anni, l'esistenza stessa, in una sola inestinguibile fiamma. In cambio, paradossalmente, il giocatore di scacchi assapora l'arrestarsi del tempo in un'ansia di eterno presente».
Non resta che attendere il nuovo romanzo, appena consegnato a Einaudi. E tornare ad apprezzare la vera letteratura, quella che toglie il fiato e fa sognare il mondo. "Il quartetto Razumovsky" è il titolo del nuovo libro, che Einaudi contava di far uscire l'anno prossimo, ma che probabilmente sarà pubblicato in tempi più stretti. Come si evince dal titolo, Maurensig torna ad occuparsi di musica, ispirandosi in particolare a uno dei quartetti per archi op. 59 composti da Ludwig van Beethoven nel 1805-1806 su commissione del conte Andrej Kirillovič Razumovskij, ambasciatore russo a Vienna.
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Il Messaggero