"Comunicare, l’arte di Wojtyla". La lettera di Costanzo al Messaggero citata durante i funerali

La lettera di Maurizio Costanzo scritta in occasione della Giornata della Gioventù il 21 agosto del 2000

Grazie anche ai romani. Così vicini, così lontani
L’indomani dal “rito dell’accoglienza”, la...

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L’indomani dal “rito dell’accoglienza”, la sera di Ferragosto, in Piazza San Pietro, tutti a domandarsi: come mai il Papa riesce a parlare a tanti giovani? E ancora: solo perché il Pontefice conosce le regole della comunicazione e gli altri no? E poi: aggrega milioni di ragazzi eragazze di ogni parte del mondo, soltanto per un carisma personale? Proviamo a dare qualche risposta, anticipando che quella sera, in televisione, il Papa ci ha fatto assistere ad un suo nuovo evento mediatico, intensissimo, commovente e di grande efficacia. Anche lui, il vecchio Papa, appariva alla fine allegro e rinfrancato, quasi che le migliaia e migliaia di giovani (pochi rispetto a quanti converranno a fine settimana a Tor Vergata) avessero trasferito al suo corpo malandato nuova linfa. Non è la prima volta che il Pontefice parla a moltitudini di giovani: erano più di un milione a Parigi e così nelle Filippine e ovunque li abbia sollecitati all’incontro e al dialogo. Non c’è leader politico nel mondo che non vorrebbe ottenere dai ragazzi attenzione ed entusiasmo. Non c’è leader nel mondo che abbia compreso come il Papa lo stato d’animo dei diciottenni e dei ventenni quando le ideologie politiche si sono frantumate, quando la speranza in altre bocche è soltanto retorica. Il Papa, la sera del 15 agosto, in Piazza San Pietro ha ricordato ai ragazzi e alle ragazze che avevano (un particolare importante: le loro facce normali come i nostri figli o i nostri nipoti) una missione, una funzione, uno scopo. Li ha chiamati ad un impegno di apostolato, li ha investiti di un compito, aggiungendo che possono riuscire come è riuscito lui, che faceva l’operaio e c’era la guerra. Ed ha proseguito: Cristo vi conosce ad uno ad uno. In queste frasi c’è la speranza di riuscire, di portare a buon fine il compito assegnato non come accade nel mondo, dove tutto è complicato, dove non c’è nessuno che abbia fiducia in te, dove nessuno, come Cristo e il Papa, è pronto ad aprirti una linea di credito. Per questo i giovani corrono a milioni quando il Papa li chiama, quando li invita alla comunione e alla gioia di un’esperienza. Sorrideva, il Papa stanco, quando ad uno ad uno i ragazzi arrivavano a lui e gli si gettavano tra le braccia. Come un nonno con tanti nipoti. Avanti: sapete indicarmi l’uomo politico in grado di ottenere una simile partecipazione? Abbiamo guardato nella stessa sera, in tv, le immagini scialbe e ripetitive della convention americana che deve candidare Al Gore alla presidenza degli Stati Uniti. Non si può nemmeno fare un paragone. Malinconica persino Caroline, la figlia quarantenne di John Kennedy, costretta, per il bene supremo, ad uscire da una vita riservata per salire su un palco. Da grande maestro di comunicazione, il Papa ha esordito con un colpo di teatro. Ha detto: «Ditemi cosa siete venuti a cercare». Quasi una provocazione: anziché parlarti io, comincia a dirmi tu, perché sei venuto a Roma e sei in Piazza San Pietro. Soltanto nel proseguire della omelia, il papa ha raccontato, senza dirlo mai esplicitamente, perché loro erano lì e perché lui era ad accoglierli. Che poi sappia di comunicazione lo si è visto, al di là dei contenuti dei quali abbiamo sommariamente riferito, quando alla fine ha ripetutamente picchiettato sul microfono per verificare che fosse in funzione e quando, consapevole dei tempi di attenzione che non sono infiniti, ha guardato l’ora. E complimenti al regista della Rai che ha tenuto l’immagine sul Papa che, appoggiandosi al bastone, a piccoli passi, di spalle, rientrava in San Pietro. Cristo vi conosce ad uno ad uno e noi telespettatori abbiamo avuto la sensazione che fosse vero anche per chi, passivamente, era davanti al teleschermo

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Il Messaggero