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Non vede l’ora di tornare a Napoli, la sua città. Il clamore di questi giorni, tra bagni di folla per le strade e le piazze di Sanremo e cori fuori dall’hotel (e dalla pizzeria che ha aperto nella Città dei Fiori solo per la settimana della kermesse, Pizza Geolier), quasi lo spaventa: «A me la vittoria di Sanremo fa paura: una cosa troppo più grande di me. Non so se reggerei, tra responsabilità e aspettative», dice Geolier.
Il problema è che Emanuele Palumbo, questo il vero nome del 23enne rapper di Secondigliano in gara al Festival di Sanremo con I p’ me, tu p’ te (quello d’arte è una parola che in francese significa “secondino”, sinonimo di guardia carceraria: ma secondini sono anche gli abitanti del difficile quartiere della periferia partenopea), rischia di non vedere il Vesuvio per un po’.
Incoronato dal televoto, che ha ribaltato la votazione della sala stampa, facendo di lui uno dei favoriti alla vittoria, a Sanremo il fenomeno dell’ultima stagione discografica da 75 tra Dischi d’oro e di platino ha trovato la consacrazione. E la sua canzone vola nelle classifiche mondiali: a due giorni dal debutto sanremese, I p’ me, tu p’ te scala le classifiche di Spotify, raggiungendo il primo posto nella Top 50 Italia e diventando l’unica canzone ad entrare direttamente nella Top 50 Globale.
Reazione?
«Ho fatto goal. 1-1. Prendo il pallone e lo riporto a centrocampo».
Perché partiva svantaggiato?
«La prima esibizione non è andata bene.
Che ha detto?
«Fino a vent’anni fa non si parlava di canzoni neomelodiche, ma di canzoni napoletane. Ci hanno appiccicato addosso l’etichetta di neomelodici per tarparci le ali. Perché la verità è che siamo troppo forti».
Spesso viene paragonato a giganti della tradizione musicale napoletana come Pino Daniele: sente il peso della responsabilità?
«Sì. E certi paragoni mi sembrano un po’ ingombranti, se devo essere onesto. Noi che veniamo adesso siamo tutti più fortunati, perché il lavoro sporco lo hanno fatto i grandi che ci hanno preceduto. Io personalmente non penso di aver fatto chissà cosa: ho semplicemente appoggiato la palla in rete. Io sono un muccusiello».
Scusi?
«Un moccioso. Ho 23 anni e tutto da imparare. Anche se le cose stanno avvenendo in maniera molto precoce e sto bruciando le tappe, cerco di mantenere il contatto con la realtà».
Se la vostra generazione ha trovato la strada spianata, quelli della sua età cosa devono fare?
«Portare la musica italiana fuori dall’Italia. È quello che sto provando a fare io con la canzone napoletana: ha fatto il giro del mondo, è tornata a casa e poi purtroppo è rimasta lì. Sarebbe incredibile portare all’Eurovision un pezzo in napoletano (Amadeus ha cambiato il regolamento del Festival, che proibiva a brani con testi in dialetto di partecipare alla gara, appositamente per lui, ndr)».
A giugno sarà il primo artista a fare tre concerti allo Stadio Maradona di Napoli. Le date del 22 e 23 giugno sono sold out (sarà a Roma il 28 giugno, al Rock in Roma all’Ippodromo delle Capannelle). L’album “Il coraggio dei bambini” è stato il più ascoltato in Italia nel 2023. Quanti milioni vale oggi Geolier a livello discografico?
«È volgare parlare di soldi, preferirei evitare di sparare cifre. Dietro di me ci sono cinquanta persone che mangiano grazie alla mia musica. Più incasso, più restituisco alla mia gente».
Dal lavoro come operaio in una fabbrica di lampadari ai Dischi di platino, grazie alla folgorazione del rap. Si sente fortunato rispetto ad altri suoi coetanei che non trovano la loro strada?
«Più che fortunato, mi sento benedetto. Da Dio, che mi ha dato un talento. E da Napoli, che mi ha scelto».
Il Messaggero