Clementino torna con "Grande Anima": «Divorato dalla droga e dal successo, ho buttato tanti soldi. Rinato grazie alla lettura e ai rituali sciamanici»

Il nuovo album e l'ispirazione dai suoi viaggi nel mondo, dalla pratica della meditazione e dalla passione per la lettura

Dalla fame di musica di un «ragazzo di periferia», come lui ama definirsi, al successo nazionale, passando attraverso il buio della dipendenza dalla droga. Clementino torna dopo...

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Dalla fame di musica di un «ragazzo di periferia», come lui ama definirsi, al successo nazionale, passando attraverso il buio della dipendenza dalla droga. Clementino torna dopo un percorso di analisi e di rinascita con nuovo album "Grande anima". Una raccolta cantautoriale nata da una nuova consapevolezza di sé che mette al centro Clemente. L'uomo prima del personaggio.

La Grande Anima è solo tua o c'è anche qualcun altro dentro?
«In realtà sono tante anime messe insieme. Le esperienze vissute, i viaggi, i libri letti, la meditazione… Parlo delle anime che ho incontrato nel mondo, ma anche di quelle che ho letto, come Jules Verne o James Hillman. Però alla fine è prima di tutto la mia anima. Il disco è un viaggio molto introspettivo. “Grande Anima” racchiude le sfumature dell’anima: amore, speranza, spiritualità. Anche se parlo delle anime degli altri, inizia e finisce con la mia. Nemmeno quella di Clementino: parlo di Clemente, perché è lui che guida tutto adesso. L’errore più grande che ho fatto è stato mettere Clementino davanti. Ora davanti c’è Clemente».

Qual è la differenza?
«Perché mettere Clementino davanti mi ha creato tanti problemi. Quando fai andare avanti il personaggio e non la persona, è un guaio. Il personaggio vive da solo: è quello dei palchi, della vita turbolenta. Ho avuto dieci anni di fuoco. Non riuscivo a capire me stesso. Poi ho capito che doveva essere Clemente a guidare. Ora sto molto, molto meglio. Sono riuscito a fare un album cantautorale, cosa prima impossibile. Come fai a descriverti se non ti conosci?».

C’è qualcosa che Clementino ha fatto e che Clemente non rifarebbe?
«Sì. Ho fatto degli errori, ma dovevano far parte del mio percorso. Il più grande è stato la dipendenza dalla droga, e anche la dipendenza dal successo. Anche quella è una dipendenza: voler per forza arrivare ai primi posti, dover avere tutto. Mi sono reso conto che avevo fatto tutto: tutti i palchi, tutte le esperienze, la maglietta giusta, la collana giusta… Ma poi capisci che voler avere tutto, soprattutto cose inutili, ti rovina. La meditazione mi ha aiutato: ti riporta al presente. Ti insegna che la prima cosa è togliere il superfluo. Rimane l’essenza. Le radici».

 

Forse è un approccio che anche molti giovani hanno oggi?
«Hai detto bene: “giovani”. Anch’io ero così. Non gli si può dire nulla. Possiamo dare consigli, indicare una strada, ma devono sbagliare anche loro. Se non sbattono la testa al muro, non si rendono conto. Io sono uscito da un lungo percorso di analisi con me stesso, che è durato una cinquantina di libri, viaggi nel mondo, tanta meditazione. E finalmente ho potuto fare un disco cantautorale. Ne ho fatti 13, ma nessuno era così. Prima c’era tanta autocelebrazione, la tipica del rap: “Io sono forte, tu no”. Ma in questo album ho raccontato altro».

Qual è stata la consapevolezza psicologica più importante che hai messo nell’album?
«Riuscire a stare fermo. Io sono molto vivace. Avevo bisogno di fermarmi, ascoltare il mio respiro, viaggiare da solo. Perché quando viaggi da solo, parli con te stesso e arrivi a delle conclusioni. Fermarsi per pensare, respirare, capire. E poi raccontarsi attraverso la musica. Quando un album ti cambia anche umanamente, hai raggiunto l’obiettivo. La musica va venduta, certo, ma c’è anche un cambiamento personale. Un vero artista deve sapersi trasformare. Non mi sono mai fatto problemi a cambiare genere, e magari col prossimo torno all’hip hop duro, ma con contenuti importanti. Per me la musica è un’ossessione. Ho bisogno di scrivere. Ho un quaderno pieno di canzoni che non sono ancora uscite».

E cosa aspettano?
«In questo album, molto cantautorale, non ci stavano le cose più reggae o rap pesante. Quindi ho in mente di far uscire altri tre album nei prossimi due anni».

Hai parlato molto dei libri. Sei sempre stato un lettore?
«No, assolutamente. Prima leggevo solo Topolino. Poi ho scoperto che leggere mi rilassa, è una forma di meditazione. Per un artista leggere è fondamentale: ti cambia il linguaggio anche nelle canzoni, ti aiuta a dire cose più interessanti. Ho iniziato con i libri d’avventura – Jules Verne, Robinson Crusoe, I ragazzi della via Pal – poi sono passato alle biografie: Will Smith, Tarantino, Gino Paoli, Bukowski. Poi la lettura spirituale: Hillman, Joe Dispenza, Il Buddha nello specchio, Saviano. Ho letto tantissimo. Ho librerie piene».

Quali sono stati i tuoi punti di riferimento nella meditazione?

«Sono molto legato alle tradizioni degli sciamani, in particolare degli indiani d’America e della Costa Rica. Lì ho partecipato a cerimonie di medicina ayahuasca. Hanno una religione cristiana-sciamanica, legata all’universo, alla natura, agli elementi. Non sapevo nemmeno cosa fosse all’inizio, poi ho scoperto che è un legame profondo con tutto: il sole, le montagne, l’acqua. Anche Pino Daniele parlava di questi elementi nelle sue canzoni. Per me è stato un rifugio, un momento potente di connessione e guarigione».

Hai viaggiato molto, ma poi sei tornato a casa...
«Sì. A casa ho un planisfero con delle X sui posti dove sono stato: dalle Hawaii alla Scozia, dalla Norvegia all’India, al Kenya. Alla fine si torna sempre a casa. Porto tutto nello zaino e lo riporto a Napoli. Si sente nel disco: nei testi, nella musica. È world music, rap, cantautorato, con tanto Mediterraneo. Parti da Napoli, fai il giro del mondo, e ci torni. Le radici.»

Hai vissuto anche a Roma, che rapporto hai con la Capitale?
«Bellissimo. Ci ho vissuto tre anni, quelli delle gare di freestyle. Ho lasciato un pezzo di cuore a Roma. Amo Proietti, Verdone, Manfredi, Venditti. C’è grande rispetto tra Roma e Napoli».

Ora sei felice anche in amore?
«Sì, con Roberta. Sto proprio bene. Ho ritrovato un equilibrio fantastico: in famiglia, nel lavoro. Faccio la vita che ho sempre sognato. Se tornassi indietro e dicessi al Clementino di 30 anni fa che un giorno avrebbe 13 album, concerti con Pino Daniele, film, TV, una casa nuova… non ci crederebbe. Sono contento e grato. Ma ho anche lottato tanto. Ora voglio ancora di più, perché sto togliendo ciò che è negativo. Come diceva Marco Aurelio, con il silenzio e facendo il proprio lavoro le cose arrivano».

La prima soddisfazione che ti sei tolto con i primi guadagni?


«I viaggi. Ho buttato tanti soldi nel gabinetto, soprattutto con la dipendenza, ma va bene così. I primi soldi spesi bene? Viaggi e strumentazioni per registrare: microfoni, schede audio. Poi la casa nuova. Non ho mai comprato un Rolex, mi distrarrei e lo perderei. Non spendo in gioielli o abbigliamento costoso. Ma se devo fare un regalo a mio nipote, sono soldi spesi benissimo». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero