Charles Bukowski, 30 anni dalla morte dello scrittore più citato dai social

La frase storica: «Se succede qualcosa di brutto / si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello / si beve per festeggiare; e se non succede niente / si beve per far succedere qualcosa»

Charles Bukowski, 30 anni dalla morte dello scrittore più citato dai social
«Penso di non avere scritto mai neppure una poesia da sobrio. Ma ne ho scritto un paio belle o un paio brutte sotto la scure di un livido doposbronza, quando non sapevo se...

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«Penso di non avere scritto mai neppure una poesia da sobrio. Ma ne ho scritto un paio belle o un paio brutte sotto la scure di un livido doposbronza, quando non sapevo se mi avrebbe fatto meglio un altro bicchiere o una lama». L'inconfondibile eloquio è di Charles Bukowski (1920-1994), di cui ricorrono proprio oggi i trent'anni dalla morte. Il passo è tratto da un'intervista di Arnold Kaye del 1963 (Il sole bacia i belli, Feltrinelli, ristampato per l'occasione, come molti titoli Tea in nuova veste grafica).


Ci sono pochi scrittori completamente privi di filtri, come l'autore di Storie di ordinaria follia (da cui fu tratto un fortunato film di Marco Ferreri), di Pulp, del Taccuino di un vecchio sporcaccione. E di romanzi, raccolte di racconti. E tante, tantissime poesie, come Donne, che racchiude l'intera sua filosofia di vita: «Se succede qualcosa di brutto / si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello / si beve per festeggiare; e se non succede niente / si beve per far succedere qualcosa». Sì, perché per Bukowski, «non ha importanza dove scrivi purché tu abbia un tetto sulla testa, una macchina da scrivere, fogli e birra. Si può scrivere dentro alla bocca di un vulcano».

L'inferno dell'infanzia

Secondo David Stephen Calonne, che curò la raccolta delle sue interviste, la sua vita è stata «un lungo atto di autoimmolazione». Nato ad Andernach, in Germania, si trasferisce a Los Angeles ad appena due anni. La sua infanzia è un inferno: picchiato costantemente dal padre, colpito da un'acne devastante. E poi la scoperta dell'alcol, l'«elisir verso la libertà». Difficile trovare un autore dotato di altrettanta franchezza. Forse è per questo che, per raccontarlo, spesso basta usare le sue stesse parole. Negli anni del college, si avvicina a un gruppo neonazista, che prende in giro in Panino al prosciutto. Poi, non pago della prodezza, comincia anche a frequentare gruppi di estrema sinistra. «Più che altro per scroccare da bere», confessò poi.


Nel 1944 fu anche arrestato dall'Fbi a Filadelfia, e imprigionato per due settimane, per renitenza alla leva. Ma lo Zio Sam ci mette pochissimo, a capire che il giovane Charles è inabile. Bukowski comincia a vagare per gli Stati Uniti, vivendo in pensioni economiche, o sulle panchine dei giardini pubblici, in una interminabile baldoria alcolica: il punto più basso lo raggiunge a 35 anni, ricoverato con lo stomaco lacerato nella corsia dei poveri del Los Angeles County General Hospital. Poi cerca di riscattarsi. Svolge qualunque lavoro per sbarcare il lunario. Trova finalmente il posto fisso in un ufficio postale. Solo quando è costretto a lasciare l'impiego si mette a scrivere sotto contratto, e senza sosta. «Nessuno può salvarti se non tu stesso». Malgrado la prolificità non c'è mai una parola fuori posto: la vita e l'opera vanno di pari passo. Anche se non seguono mai una linea dritta. Il «vecchio sporcaccione» è un satiro, un provocatore, un ragazzaccio, come Dylan Thomas o Jack Kerouac. Insegue i suoi numi tutelari, Ernest Hemingway e John Fante. E non perde mai la sua lucidità, la sua voglia di andare controcorrente.

Il più citato dai social

È per questo, forse, che le sue frasi vanno così forte sui social. Scrive in Sull'amore (Guanda): «L'amore non è altro che un faro di notte che fende la nebbia / amore è una chiave di casa tua persa quando sei sbronzo / amore è tutti i gatti spiaccicati dell'universo / amore è una sigaretta col filtro ficcata in bocca e accesa dalla parte sbagliata».
L'amore per lui aveva la forma di tante, molteplici donne, ma s'incarnava principalmente in Linda Lee Beighle, proprietaria di un ristorante salutista, appassionata di filosofie indiane, con cui ebbe una relazione burrascosa e intermittente, e che riuscì moderare la sua propensione per la bottiglia.

Quando morì, a 73 anni, per una leucemia fulminante, era all'apice della fama. È incredibile come quest'uomo che rigettava l'idea di poter essere un «guru», sia riuscito a diventare un autore di culto. Forse la chiave si cela proprio nella sua innata trasgressività. Solo una posa? In parte. L'editore di Bukowski, John Martin, ha ammesso a Vice: «Beveva molto, ma in trent'anni non l'ho mai visto ubriaco».

Nel documentario Bukowski: Born Into This (2004) parlano di lui amici come Bono Vox, Tom Waits, Sean Penn. Nel film Barfly - Moscone da bar, scritto dallo stesso Bukowski, l'alter ego dell'autore, lo scrittore ubriacone Henry Chinaski, è interpretato da Mickey Rourke. A cui lo sceneggiatore fa dire: «E pensare che credevo che sarei stato scoperto dopo la mia morte».

 

 

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Il Messaggero