Biagio Antonacci: «Il mio più grande senso di colpa? Non aver detto a mio padre: ti voglio bene»

Biagio Antonacci: «Il mio più grande senso di colpa? Non aver detto a mio padre: ti voglio bene»
Cinque anni di silenzio. Una lunga pausa per Biagio Antonacci. A gennaio il nuovo album L'Inizio, ora il nuovo singolo Lasciati pensare. Ora tutto è pronto per...

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Cinque anni di silenzio. Una lunga pausa per Biagio Antonacci. A gennaio il nuovo album L'Inizio, ora il nuovo singolo Lasciati pensare. Ora tutto è pronto per ricominciare, rimettersi in moto con un tour in luoghi di grande suggestione come Caracalla a Roma e gli scavi di Pompei.

Fedez, frecciatina di Biagio Antonacci? «Io non sarei mai entrato a Rozzano con la Porsche o col Rolex»

Biagio Antonacci, dall'infanzia al successo

Biagio è cresciuto a Rozzano, periferia Sud di Milano. Un luogo che si porta dentro con rispetto. Quello che forse manca nelle nuove generazioni. «A certi posti resti legato, c’è una parte di te che non è mai partita. È rimasta lì a innamorarsi delle fragranze delle anime che incontravi nei cortili. La periferia è un diffusore di sogni. Rispetto agli artisti giovani, non sarei mai entrato a Rozzano con la Porsche o il Rolex, i miei si sarebbero arrabbiati...». Con Eros Ramazzotti condivide questi posti ma non solo. Lui e Laura Pausini, racconta a La Repubblica, sono forse «i miei migliori amici in questo ambiente».

E pensare che tutto cominciò grazie a Ron. Biagio era un suo fan. Un giorno, da carabiniere in servizio a Garlasco lo incontra mentre era di battuglia con un collega, quasi per caso. «Gli dissi che scrivevo canzoni. “Portamele!”. Mi presentai da sua mamma con 4 pezzi fatti in casa e un mazzo di fiori. Ron mi chiamò, disse che c’era ancora da fare ma aggiunse: “Quando canti hai qualcosa da dire”. Mi rimase nel cervello per sempre».

Ma fu a Roma, qualche anno dopo, che Biagio ebbe la sensazione di avercela fatta. «Stavo andando in radio, il tassista ascoltava Liberatemi, dice “aho’, questo è forte”. Gli dico “guarda che sono io”, si gira, mi guarda: “Anvedi, ma limort …”. Scesi dal taxi, mi ha portato al bar e urlava a tutti “aho’, questo è Antonacci, guardate chi v’ho portato”». Nel 1992 invece capì di avercela fatta per davvero: «C’era un concerto a Roma contro la droga, con ospiti importanti. Di solito, agli annunci, gli applausi per me erano mosci. Quella volta arrivò un boato».

Il senso di colpa

Al collega Andrea Silenzi, Biagio giura di non aver mai vissuto il delirio dell’onnipotenza. O meglio di «non averlo vissuto come avrei potuto: da giovane avevo la forza ma ero timido e non la consideravo». Timido? Sì. «È qualcosa che ti porti dentro e cerchi di superare. Da bambino balbettavo, cantando ho superato l’ostacolo. Vasco Rossi mi disse: “Ho fatto il rock per evitare di cantare le ballate, mi vergognavo”»

Nelle sue canzoni Biagio Antonacci parla spesso dei suoi sensi di colpa. Lui a La Repubblica la definisce una grande malattia «ma sto imparando a debellarli». Un senso di colpa che continua a provare invece è quello di non essere mai riuscito a dire a suo padre di volergli ben: «Avevo paura che sul letto di morte capisse che se ne stava andando, che vivesse le mie parole come un addio». 

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Il Messaggero