Alessandro Borghi: «Giro ogni film come se fosse l'ultimo. E ora sono pronto a diventare Rocco Siffredi»

La paternità, i figli che prendono le distanze dei padri, la ribellione a un destino segnato. E gli scenari naturali lividi, minacciosi, mai visti al cinema...

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La paternità, i figli che prendono le distanze dei padri, la ribellione a un destino segnato. E gli scenari naturali lividi, minacciosi, mai visti al cinema dell'estremo Nord della Norvegia. In The Hanging Sun, il film d'esordio del 40enne Francesco Carrozzini, ispirato al thriller di Joe Nesbø Il sole a mezzanotte e applaudito in chiusura della 79esima Mostra di Venezia fuori concorso (prodotto da Cattleya, Groenlandia e Sky, sarà in sala con Vision fino a domani e prossimamente disponibile su Sky Cinema e in streaming su Now), Alessandro Borghi disobbedisce al padre criminale che aveva previsto per lui un'esistenza al di fuori della legge. Fugge lontano, in un villaggio isolato dove il sole sembra non tramontare mai e dove incontra una pescatrice (Jessica Brown Findlay) con il figlio adolescente. S'innamora di questa donna segnata dalle violenze coniugali, ma il suo passato terribile continua ad inseguirlo. Amore, senso di colpa, redenzione, riscatto sono alla base della storia che rivitalizza il noir. A Venezia Borghi, 35 anni, romano, che presto vedremo al cinema in Le otto montagne premiato a Cannes e prossimamente nella serie Netflix Supersex nel ruolo di Rocco Siffredi, racconta la sua esperienza. Partendo da una riflessione decisamente amara.


Non è contento di aver girato The Hunging Sun?
«Ne sono felicissimo, questo film è quasi un miracolo. Ma l'attuale crisi del cinema, con le sue sale vuote, mi fa soffrire. Il pubblico devi conquistartelo sul campo, girando ogni film come se fosse l'ultimo della tua vita. Non c'è nulla di automatico: nemmeno la presenza di Borghi (sorride, ndr) può garantire il successo».


Perché questo suo ultimo film, girato in Norvegia e parlato in inglese, dovrebbe attirare gli spettatori?
«È una storia d'azione e sentimenti immersa nei luoghi in cui è ambientata e contiene molti spunti che, già su di me, hanno avuto un forte impatto emotivo: la paternità, il cambiamento, il dolore, gli incontri...».


Esiste una ricetta per portare la gente al cinema?
«Si esce dalla crisi con umiltà e impegno. E, molto semplicemente, bisogna fare dei film belli. Non solo mainstream, cioè costruiti strizzando l'occhio al pubblico, magari con l'aiuto degli algoritmi. Invece continuo a vederne tanti decisamente brutti. E pensare che da ragazzo decisi di fare l'attore perché amavo pazzamente il cinema, sognavo la sala buia e piena...».


Oggi che il cinema è in crisi cosa pensa?
«Continuo ad essere grato della fiducia che mi viene data, deciso a dare tutto il mio impegno in cambio. Oggi sono qui, ma se mi va male posso sempre andare a vendere cocomeri a Porta Portese».


Le piacerebbe, dopo il successo delle due stagioni della serie Sky Diavoli, una carriera internazionale?
«Certamente, infatti ho da poco ingaggiato un agente americano fortissimo. E continuo ad affrontare provini all'estero, mi piace moltissimo mettermi in gioco. Stiamo vivendo un momento di apertura, di grandi possibilità».


Quando girerà la serie su Rocco Siffredi?
«Non ci sono ancora i contratti firmati».


Ma ci tiene a interpretare il re del porno?


«Certo, non vedo l'ora. Anche senza provini». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero