Tra Roma e Latina la banda di Amri: la base della cellula in viale Marconi

Una rete che gira intorno ad Anis Amri, l’attentatore della strage di Natale 2016 a Berlino, morto a Sesto San Giovanni proprio mentre cercava di tornare verso il centro...

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Una rete che gira intorno ad Anis Amri, l’attentatore della strage di Natale 2016 a Berlino, morto a Sesto San Giovanni proprio mentre cercava di tornare verso il centro Italia, dove si sentiva più sicuro. Del gruppo fa parte un “sedicente” palestinese, residente in viale Marconi, a Roma, Abdel Salem Napulsi, 38 anni, che, secondo l’ordinanza del gip di Roma Costantino De Robbio (notificata a lui in carcere ma che ha portato all’arresto di altre 4 persone, mentre 15 indagati sono stati perquisiti) ha atteggiamenti che corrispondono alla «progettazione di attentati che hanno un preciso e ben identificabile riferimento negli atti di terrorismo ideati dall’Isis per poter essere eseguiti dagli aderenti nei paesi ritenuti bersaglio, fra cui l’Italia», anche se non c’era un’azione imminente. 

Napulsi è stato fermato a novembre per spaccio, mentre l’inchiesta per auto addestramento era in corso. L’uomo si stava informando in rete sull’uso di fucili, di un lanciarazzi Rpg7 e su dettagli logistici per l’affitto di un pickup. Ma nel frattempo aveva anche imparato a muoversi nel deep web e a sottrarsi ai controlli della polizia con tecniche di contropedinamento. È Mounir Khazari, presunto leader ideologico dell’organizzazione a Latina, il suo collegamento con Anis Amri. Ed è con lui che si sfoga quando spiega la sua idea sull’occidente: «Quando incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati. Tagliagli la testa e i genitali». Gli parla anche della contrarietà ai comportamenti delle donne occidentali, «girano con pantaloncini e costume» ma «meglio che vanno nude e basta».
 
LA RETE
Dalla morte di Amri in avanti, il gruppo è stato in parte smantellata. Khazari, fermato insieme a Napulsi, ne resta il presunto leader per atteggiamenti radicali (un anno fa ha distrutto le telecamere di sorveglianza attorno alla moschea di Latina perché temeva di essere sorvegliato). Moez Ghidaoui è stato espulso a febbraio 2017, Hicham Al Arabi, il marzo 2017, Mohamed Hachemi Triki a marzo. Ma del gruppo potrebbero aver fatto parte anche le persone perquisite ieri, buona parte delle quali a Latina. A loro, la Digos ha controllato computer, tablet e cellulari per cercare di capire quanto organizzati fossero i loro contatti. 

100 VERSO L’EUROPA

Se da un lato esiste dunque un gruppo di radicalizzati, dall’altro, ma in contatto con il primo, c’è una rete logistica che produce documenti falsi. La stessa che ha prodotto il passaporto falso usato da Anis Amri in Germania, dicono le indagini coordinate dal pm Sergio Colaiocco. Ne fanno parte Akram, Mohamed, Dhiadine e Rabie, Baazaoui, legati da lontane relazioni di parentela, tanto che al telefono si chiamano “cugini”. Persone con una frequentazione abituale anche con la zona di Latina. Secondo le indagini, il gruppo era li quando Amri, come ha confermato il conterraneo che lo ospitava, chiese una mano all’organizzazione. Per questo, e per i collegamenti territoriali e familiari in Tunisia, l’ipotesi degli investigatori è che questa rete aiutasse in particolare persone radicalizzate. Il gruppo criminale, secondo quanto scrive il gip Costantino De Robbio nell’ordinanza di arresto, era in contatto con un amico di Amri e avrebbe fatto entrare in Italia un centinaio di connazionali. Persone a cui garantivano, previo il pagamento di ingenti somme, carte di identità false e documenti per potere raggiungere altri paesi in Europa.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero