Canterò finché avrò qualcosa da dire e, quando nessuno vorrà più ascoltarmi, canterò soltanto in bagno facendomi la barba, ma...
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GABER
Nel disco spicca Luigi e gli Americani, praticamente inedito. A scriverlo per il suo amico fu Giorgio Gaber, che incluse alcuni versi di Quando. A cantarlo a teatro fu Ombretta Colli, con arrangiamento di Franco Battiato. Fu inciso nel 1984 e poi sparì dalla circolazione, in Luigi è ripescato per la prima volta. Gaber descrive una serata al Piper, con Luigi che stava sempre zitto, e Gianni (Boncompagni) che raccontava di quanto fosse grande l’America del blues, dei Doors e di Dylan, e a quel punto Tenco rompeva il silenzio: «Ma a noi cosa ci frega degli americani?». Aveva ragione. Che ci importa degli altri, quando abbiamo pezzi come i suoi? «Luigi ascoltava serio, forse inseguiva pensieri lontani», scrive Gaber, ed è questa l’immagine che abbiamo di lui, profondo, taciturno e col cuore altrove a rimuginar d’amore.
Alla mostra-concerto sarà presente la famiglia Tenco, che ha appoggiato l’intero progetto e non è cosa da poco. Famiglia che si trasferì dal Piemonte a Genova nel 1948. Poi, dalla Foce si entrò nel mare della musica italiana. Quel quartiere genovese era popolato di ragazzi che poi avremmo conosciuto bene. I De André, Lauzi, Bindi, Paoli che si incontravano al Bar Igea, sulla panchina via Cecchi, a casa Dègipo, l’unico ad avere un giradischi e un 33 giri di Nat King Cole, o nel soppalco dell’enoteca Enos, gestita dalla famiglia di Tenco, dove Luigi suonava il clarinetto e la chitarra, allenandosi a fare la storia del nostro cantautorato.
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Il Messaggero