A scuola con il panino, ora il ministero dice sì

A scuola con il panino, ora il ministero dice sì
La guerra del panino, combattuta nella mensa della scuola come nell’aula di un tribunale, è arrivata a una prima svolta: il ministero dell’Istruzione accetta il...

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La guerra del panino, combattuta nella mensa della scuola come nell’aula di un tribunale, è arrivata a una prima svolta: il ministero dell’Istruzione accetta il pranzo fatto in casa, da consumare a scuola, e promette di emanare le linee guida sulla mensa per fare chiarezza. Una volta su tutte. Finora infatti, a decidere sul menù da portare in tavola nelle scuole, sono stati solo i tribunali. Tutto è iniziato con la sentenza emanata dal tribunale di Torino, nel giugno scorso, che di fatto riconosceva il diritto dei bambini di mangiare a scuola il pasto preparato a casa, come il classico panino ma anche la “schiscetta” tipica delle famiglie del nord o il canestrello di una volta, della tradizione romana.


RISCHIO CAOS
Una sentenza che ha provocato così un effetto a catena tra ricorsi al giudice, petizioni online tra genitori favorevoli e contrari e richieste di intervento ai singoli presidi. Con il risultato che, al momento, si rischia solo un grande caos: proprio quello che, in una mensa scolastica, non dovrebbe mai accadere per evitare contaminazioni di cibo, pericolose soprattutto per i bambini che soffrono di allergie, ma anche per scongiurare il consumo di pasti scaduti che potrebbero arrivare senza controllo all’interno della scuola. La sicurezza, innanzitutto, ma anche il rispetto del concetto di mensa che fa parte integrante dell’educazione scolastica: dallo stare a tavola in gruppo, rispettandone le regole, fino alla conoscenza dei cibi.

E allora, per evitare ulteriori confusioni, il Miur ha emanato una circolare per gli uffici scolastici regionali con cui invita le scuole a trattare il panino come un pasto speciale, come quello riservato ai bambini allergici o che per motivi religiosi non possono mangiare determinati cibi, a favorire il dialogo con le famiglie, accogliendone le richieste, e a collaborare con gli enti locali responsabili dell’erogazione e della gestione del servizio mensa. Da parte sua il Miur si impegna a comunicare l’esito dei ricorsi proposti in Cassazione. Buonsenso e chiarezza, quindi. Alla base di tutte le polemiche, infatti, c’è la salvaguardia della qualità del cibo da far mangiare ai bambini. La protesta di Torino nasce dalla denuncia di un gruppo di 58 genitori su costi troppo alti, da un lato, e cibo scadente dall’altro. Un allarme lanciato anche dall’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva che, analizzando tutti i capoluoghi di provincia, rileva come una famiglia standard (tre persone con un reddito lordo annuo pari a 44.200 euro e un Isee di 19.900 euro) spende mediamente 728 euro l’anno sia per la scuola dell’infanzia sia per la scuola elementare.

LE TARIFFE

Le tariffe più alte sono al Nord dove si arriva a spendere oltre 93 euro mensili mentre al Sud la spesa si abbassa a 64 euro per l’asilo e 67 per la primaria. Il picco si raggiunge in Emilia Romagna, con mille euro l’anno per la mensa scolastica, mentre il menù più economico è della Calabria con circa 500 euro l’anno. I bambini che cosa ne pensano? Al 36% non piace mangiare a mensa, oltre uno su tre quindi non gradisce. Con il risultato che il cibo viene sprecato: l’Osservatorio sulla ristorazione collettiva e nutrizione ha rilevato che il 12,6% del pranzo di un bambino viene buttato nel secchio, un danno da 0,18 euro al giorno per bambino. Troppo spreco, quindi, e bambini insoddisfatti per un servizio che comunque grava non poco sul bilancio familiare. Il Miur ha annunciato che arriveranno a breve le linee guida nazionali ma, nel frattempo, della questione si è occupata anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, è intervenuto infatti sul problema delle mense scolastiche e lo ha fatto in occasione di Agromafie 2017 annunciando che «sono in arrivo i bandi per abolire, nell’aggiudicazione degli appalti per le mense, il massimo ribasso e premiare invece il valore aggiunto della filiera corta».
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Il Messaggero