Scola, Montaldo: «Con lui è scomparso un sogno»

Scola, Montaldo: «Con lui è scomparso un sogno»
«Se n’è andato e non riesco a farmene una ragione. L’avevo sentito martedi scorso trovandolo in una forma strepitosa, ironico come sempre, prodigo di battute. E ora mi...

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«Se n’è andato e non riesco a farmene una ragione. L’avevo sentito martedi scorso trovandolo in una forma strepitosa, ironico come sempre, prodigo di battute. E ora mi telefonano affranti i colleghi, gli amici, anche la gente che lo conosceva appena. Gli vogliono tutti bene. Ettore Scola è un uomo straordinario». Parla al presente, il regista Giuliano Montaldo, classe 1930, eleganza d’altri tempi e una lunga amicizia di cinema e di vita con il maestro che oggi alle 15 verrà ricordato alla Casa del Cinema da attori come Stefania Sandrelli, registi come Giuseppe Tornatore, esponenti delle istituzioni: sarà quel funerale laico, somigliante più a una festa che a un commiato, voluto da lui stesso.


E non nasconde la tristezza, Montaldo, che con il regista di C’eravamo tanto amati ha diviso una stagione irripetibile del cinema, della politica e della cultura italiana fatta di sogni, speranze, battaglie. 

Qual è il merito più grande di Scola?
«Aver raccontato come eravamo per spiegare chi siamo. L’esempio più calzante è il suo capolavoro Una giornata particolare: mentre il mostro Hitler arriva a Roma, la polizia si preoccupa di arrestare un omosessuale. Ho rivisto quel film con mia moglie Vera almeno 5 volte e ho poi sentito il bisogno di visitare il condominio di via XXI Aprile in cui era stato girato per ritrovare il mondo di Ettore».

In che clima avevate cominciato a fare cinema?
«Negli anni Cinquanta Roma era una fucina di talenti in cui si mettevano in comune le idee, le ambizioni e la voglia di partecipare. Bastava una mattinata in piazza del Popolo per incontrare tutti i protagonisti di quella meravigliosa stagione: Lizzani, Petri, De Sactis, Age, Pontecorvo, Guerra. E poco più in là, in via Veneto, potevi trovare Fellini, Antonioni, Visconti».

Ad accomunarvi era anche il vostro sentire politico: eravate tutti di sinistra.
«Senza avere una tessera in tasca, sognavamo un’Italia più onesta, più giusta e più democratica. A quei tempi, la politica non era ancora una brutta parola, la cultura veniva rispettata ed era normale battersi per difendere i lavoratori. In quel clima, lontano dagli attuali sproloqui televisivi, è nato il grande cinema italiano che ha incantato il mondo».

Con Scola parlavate anche della trasformazione progressiva della sinistra?
«Avevamo poca voglia di parlarne, eravamo delusi: era come se il nostro sogno fosse svanito per sempre. Anche la ”nuova” Roma, in preda al caos e all’individualismo, ci metteva tristezza».

Perché il regista di “La terrazza” ha smesso di fare film?
«Se n’erano andati troppo presto Age, Scarpelli, Benvenuti, De Bernardi, il produttore Committeri, i pilastri della sua officina creativa. Forse Ettore si sentiva solo».

E del cinema italiano cosa diceva?
«Ne parlava con amore. Era curioso, andava a vedere tutti i nuovi film. E quando incassavano era felice: ripensava ai tempi in cui i successi commerciali spingevano i produttori ad investire in opere più difficili».

Qual è l’eredità artistica e morale lasciata da Scola?

«L’amore per il cinema e la cultura, l’impegno civile. È come se lui, che pure odiava salire in cattedra, dicesse a noi tutti, a giovani e vecchi: la lotta è ancora dura, ma non dobbiamo aver paura».

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Il Messaggero