ROMA Il luogo è la sala Koch del Senato, per la presentazione del nuovo libro di Carlo Nordio sulla «Stagione dell’indulgenza e i suoi frutti avvelenati»....
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Il ministro dell’Interno, dal tavolo dei presentatori del libro, incalzato dalle domande, ripete più volte il suo «O tutti o nessuno», e ogni volta scandisce di più le sue parole. «Disponibilissimo a fare tutto per i romani, a prescindere da chi governa il Campidoglio, ma per quanto riguarda i debiti serve un concetto di equità: o si interviene per ogni città o per nessuna. Ci sono tanti Comuni finanziariamente disastrati, al Nord, al Centro e al Sud». Il che è vero: ma Roma è Roma. O no? «Io sono ministro di 60 milioni d’italiani. Anche se Roma è la Capitale, e abbiamo investito su Roma la maggior parte dei soldi perché è il biglietto da visita, sono in sofferenza anche altri posti e meritano attenzione a loro volta». Quindi Roma - «l’unica città italiana che non vanta unicamente tradizioni municipalistiche», parola di Cavour - messa sullo stesso piano delle altre? Sì. «Va sostenuta ancha Catania che tra pochi giorni non avrà più soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti. E Alessandria che chiede la dilazione del debito in 30. Apriamo un dibattito su tutti i Comuni. Non solo Roma e la Raggi. Bisogna aiutare anche gli altri cittadini che hanno le stesse identiche necessità e esigenze di chi vive qui».
L’ISOLAMENTO
Altri passaggi del discorso del leader leghista sono stati applauditi dalla platea, ma questi no. E l’isolamento politico che grava sulla Lega in questa partita si è potuto toccare con mano anche in questa sala. Del resto la strategia leghista, per bloccare l’intervento del governo sui debiti della Capitale, si è impantanata almeno in questa fase precedente alle elezioni europee. Ma anche dopo la crociata lumbard non sembra affatto destinata ad avere grande seguito, perché condotta tra la freddezza e il dissenso generale. Ieri sono scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti parlamentari, e i 5 stelle non hanno depositato quello per ripristinare nel decreto crescita la norma sul debito di Roma. La partita, come tante altre, è rimandata al dopo 26 maggio. E sarà difficilissima, o persa in partenza, dal Carroccio che oltre ai 5 stelle ha contro tutti sul Salva Roma: da Forza Italia le dichiarazioni di Antonio Tajani contro il «depauperamento della Capitale» sono molto decise e anche Berlusconi, che il Salva Roma inventò, non è certo sulla linea di Salvini. Fratelli d’Italia lancia quasi quotidianamente i suoi allarmi: «Si vuole sminuire la forza di questa grande città». E il Pd - Zingaretti ha detto: «Possiamo votare il Salva Roma» - in questa partita sembro convertito al buon senso e alla tutela degli interessi generali che hanno nella città-simbolo della nazione il riassunto.
L’isolamento di Salvini, che per colpire il Campidoglio grillino rischia di far pagare i conti della sua crociata a tutti i cittadini romani, si completa con la questione della legge sulle autonomie. Che fa registrare il definitivo dietrofront. La ministra Erika Stefani dà segni di cedimento: «Il vero confronto sul regionalismo differenziato si farà dentro le aule del Parlamento. Queste saranno madri dell’attuazione di una importante norma costituzionale». E c’è l’ammissione di una sconfitta in queste parole: la Lega che voleva bypassare il Parlamento e cambiare l’assetto istituzionale della nazione quasi alla chetichella ha riconosciuto che non si può. E i grillini festeggiano: «Non eiste neanche il testo di questa legge», esulta la ministra pentastellata per il Mezzogiorno, Barbara Lezzi.
Intanto Salvini incalza su Roma: «Mi piange il cuore vederla ridotta così. Ma non serve dare soldi. Il problema è avere una amministrazione competente e una macchina amministrativa efficiente. Noi sulla sicurezza, penso a Strade sicure, alle telecamere e all’aumento del numero dei poliziotti, a Roma stiamo dando tanto». Di certo però il vicepremier, che in questa città ci vive e a suo dire anche bene, non le sta dando l’importanza che merita. E il motto «O tutti o nessuno» suona come una ingiusta (o una surreale) diminutio.
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Il Messaggero