Salasso da 56 miliardi per le banche italiane

Daniele Nouy, presidente del Consiglio di Vigilanza Bce
Il 26 ottobre 2014 vennero presentati i risultati della cosiddetta comprehensive assessment (valutazione globale) articolata in un esame degli attivi e degli stress test sulle 128...

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Il 26 ottobre 2014 vennero presentati i risultati della cosiddetta comprehensive assessment (valutazione globale) articolata in un esame degli attivi e degli stress test sulle 128 principali banche Ue (fra cui 15 italiane). La trasparenza fu elemento cardine nello svolgimento dell’esercizio imposto dalle autorità di vigilanza, sicché oggi è possibile quantificare il costo di quell’operazione in ben 56 miliardi, a carico degli istituti italiani solo per fronteggiare le conseguenze spietate del check up. Un vero salasso, descritto in un’analisi riservata del Crif, società di supporto alla gestione del credito che l’ha consegnata a un numero ristretto di grandi banchieri i quali in queste ore la stanno analizzando con attenzione visto che da due giorni è partito un nuovo ciclo di stress test. L’Eba, cui è affidata la regia della nuova prova, ha precisato che questa volta non sia avranno promossi o bocciati rispetto alle soglie di capitale prescritte, come invece accadde nei tre precedenti esercizi (2010, 2011, 2014): semplicemente i risultati confluiranno nelle srep (valutazioni prudenziali su capitale, governance e liquidità) del 2016. Ma siccome c’è diffidenza verso le reali intenzioni delle autorità di vigilanza, lo studio del Crif viene tenuto nella massima considerazione perchè nessuno esclude sorprese.

 
I RIALLINEAMENTI
Eccole dunque le conseguenze (negative) degli esami di oltre un anno fa. Il comprehensive assessment impose alcune misure di mitigazione per riallineare i parametri minimi patrimoniali. In verità alcune di quelle misure, gli istituti italiani le avevano già messe in atto, come l’incremento del patrimonio netto nei primi 9 mesi del 2014 attraverso varie forme per un ammontare totale di 15 miliardi, che corrispondono a poco più del pil di un paese sovrano come la Bosnia/Erzegovina. Va segnalato che dal gennaio 2014 l’indice FtseBank è caduto del 16,7%; ciò nonostante la capitalizzazione delle banche italiane quotate è cresciuta di 553 milioni. Ma se si calcolano i 15 miliardi di maggiore patrimonializzazione, è come se essi fossero stati quasi per intero ingoiati nelle turbolenze borsistiche alimentate anche dai messaggi imprudenti quando non contraddittori delle autorità di vigilanza e. Per non dire del danno complessivo arrecato all’intero listino di Piazza Affari a causa del trend altalenante dei titoli bancari. 

A ciò si aggiunga il cosiddetto deleverage dei crediti: nei primi 9 mesi del 2014 si è avuta una contrazione dei prestiti concessi rispetto ai volumi di fine 2013 per un importo complessivo di 41 miliardi (il pil dell’Uruguay). 
Infine gli accantonamenti su crediti: anche in questo caso va riconosciuto alle banche sottoposte all’analisi sugli attivi di aver saputo anticipare i risultati dell’esercizio. Comparando gli accantonamenti su crediti al 30 settembre 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in questo caso le banche con un Cet1 ratio post aqr superiore all’8% hanno diminuito i loro accantonamenti per complessivi 2,1 miliardi mentre le banche sotto soglia li hanno incrementati per 1,4 miliardi (effetto netto positivo per 0,7 miliardi).
L’analisi condotta da Crif evidenzia due importanti effetti: le 15 banche sono state in grado di prevedere gli effetti dell’aqr già entro il 30 settembre 2014, ovvero 26 giorni prima della pubblicazione dei risultati da parte di Bce in raccordo con Bankitalia. Infatti, mentre lo scostamento rispetto ai valori base era alto (e metteva agli ultimi posti della graduatoria Carige e Veneto Banca con una soglia inferiore al 6%), dopo le misure di mitigazione c’è stato una ripresa generale degli indici ben sopra il limite dell’8%. 


Riassumendo, il solo esercizio aqr, prima ancora che ne venissero pubblicati i risultati era già costato complessivamente agli stakeholder delle prime 15 banche italiane poco meno di 56 miliardi, frutto di 15 miliardi di costi connessi alle operazioni per far salire il patrimonio, più 41 miliardi di riduzione dei volumi di credito erogato, solo parzialmente compensati dai circa 0,7 miliardi di rettifiche di valore.
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Il Messaggero