Roma, 26 luglio '69 iola,

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Roma, 26 luglio '69 iola, Viola carissima, carissima Viola, Viola infine, che altro posso dire, Viola, ho ricevuto la tua...

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Roma, 26 luglio '69

iola, Viola carissima,
carissima Viola,
Viola infine, che altro posso dire,
Viola, ho ricevuto la tua lettera in data
ventuno, e sono un altro uomo.
Mi sei mancata, mi sei mancata, il tuo
silenzio, il tuo ritardo mi hanno angustiato assai più di quello che tu possa immaginare.
Ti scrivo subito, scendo subito a spedire, perché se non vieni domani, come spero con tutta l'anima, possa ricevere questa mia, lunedì.
Voglio dirti che si ti ho salutato affettuosamente alla partenza, ti accoglierò al ritorno – la dirò quella parola amara e squisita, quella parola diffidente e fantastica, ti accoglierò con amore.
Non amo questo telefono vedovo della tua voce, la tua voce blesa e inesatta, una adolescente Viola d'amore.
Per lavorare bene, ho bisogno che tu interrompi spesso il mio lavoro con parole, domande, tenere molestie.
Il tuo corpo ha popolato questa casa; la tua voce è appesa al mio orecchio; la tua pazienza e insieme – come dirò? – il tuo Dasein, il tuo-essere-lì, insieme sommessa e inevitabile, ha colmato i miei labirinti di tappeti e di segni, sotto i quali forse non c'è più traccia di pareti. Non ti avevo mai scritto in questo modo, non ti avevo mai parlato in questo modo, mai sentito così bruciante, insinuante, magra e languida abitatrice di un cervello che volta a volta ha forma di forca, di letto, di casa, di pianoforte a coda, di acqua di giardino.
Tutto ciò è lievemente risibile, vero? No, non lo è. Ho passato giorni istoriati di solitudine, di assenza; ora leggo il precipitoso riaffiorare di segni densi, intricati, allusivi e fitti. Sono i segni, gli ierogrammi con cui, lentamente, colmo il bianco della tua assenza coi primi indizi del tuo ritorno.
Ti abbraccio.
Giorgio Manganelli Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero