«La commedia non è più tabù», Roan Johnson racconta con ironia in “Piuma” un pezzo di vita italiana tra sogni e delusioni

«La commedia non è più tabù», Roan Johnson racconta con ironia in “Piuma” un pezzo di vita italiana tra sogni e delusioni
Esce il 20 ottobre, con Lucky Red, il film che ha messo a rumore la Mostra di Venezia, dove le commedie in concorso sono bestie rare: “Piuma”, diretto da Roan Johnson,...

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Esce il 20 ottobre, con Lucky Red, il film che ha messo a rumore la Mostra di Venezia, dove le commedie in concorso sono bestie rare: “Piuma”, diretto da Roan Johnson, interpretato da un cast agguerrito (i giovanissimi Blu Yoshimi e Luigi Fedele, Michela Cescon, Sergio Pierattini, Francesco Colella), prodotto da Sky Cinema Hd con Palomar.


Il tono leggero e i dialoghi scoppiettanti sono al servizio della storia di due liceali che, alla vigilia della maturità, scoprono di aspettare un bambino mentre le rispettive famiglie, travolte dalla notizia inaspettata, provano a gestire la situazione con effetti tragicomici. Si ride e si riflette mentre passa sullo schermo un pezzo di vita italiana con i suoi sogni, le delusioni, i difetti, le speranze. Proprio come succedeva nella commedia dei tempi d’oro, che ha accompagnato la rinascita del nostro Paese.

In un cinema che continua a puntare sulla spensieratezza, “Piuma” rappresenta, con “La pazza gioia” di Virzì e “Perfetti sconosciuti” di Genovese, il ritorno della commedia italiana classica, leggera nella forma ma ricca di contenuti. Johnson, pisano, 42, alle spalle due film “di culto” (“I primi della lista” e “Fino a qui tutto bene”) spiega perché.

Innanzitutto come le è venuto in mente di raccontare una maternità precoce?
«Verso i 40, cominci a chiederti se devi fare un figlio. La mia compagna e io eravamo terrorizzati, un po’ perché è la responsabilità più grande della vita, un po’ perché la società non aiuta i genitori. “Piuma” è nato per esorcizzare le nostre paure. Per inciso, oggi abbiamo due bambini».
Ha fatto riferimento alla grande commedia italiana?
«Non poteva essere altrimenti. Sono cresciuto ammirando Scola, Monicelli, Risi, Scarpelli. I miei film di culto sono “Divorzio all’italiana”, “Il sorpasso”, “C’eravamo tanto amati”, quelli di Virzì. Ho la commedia nel DNA».

Ma voi autori della nuova generazione non avete il cinismo dei maestri.
«E’ vero, “Piuma” affonda le radici nella commedia italiana classica ma poi prende un’altra strada. Vive dell’incantamento dei suoi personaggi, punta sulla poesia e la magia».

Come mai, a differenza di Monicelli, Risi, Sordi voi della nuova generazione non riuscite ad essere cattivi?
«Personalmente, al disincanto preferisco l’umanità dei personaggi. Per i grandi registi, il cinismo rappresentava invece il vaccino contro le contraddizioni della società».

E qual è il vostro vaccino?
«Oggi che la cattiveria impazza sui social, non ci resta che l’autoironia. Bisogna giudicare se stessi senza sconti e imparare dai propri sbagli. Come fa il giovanissimo protagonista di “Piuma” che, malgrado un comportamento sgangherato, alla fine si prende le sue responsabilità».

Oggi qual è l’aspetto della società più interessante per un regista?
«Il cinema di ieri raccontava la povertà e la fiducia nel futuro. Oggi siamo ricchi ma anche consapevoli che presto il nostro benessere finirà. In un mondo confuso e spaventato, non ci resta che avere lo sguardo un po’ incosciente del sognatore. Bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo proprio come fanno i protagonisti di “Piuma”».

Pensa che il cinema italiano abbia riacquistato credibilità?
«Avverto una grande vitalità e la voglia di recuperare il tempo perduto. Un tempo tra i film d’autore e i cinepanettoni c’era il vuoto. Oggi questo spazio è riempito da Virzì, Genovese, Sibilia, Pif e le loro commedie diverse. E il genere entra in territori fino a ieri tabù: i David, Cannes, Venezia».

Al Lido il suo Piuma ha diviso la critica.

«Perché non si sono quasi mai viste delle commedie in concorso. Successe la stessa cosa quando 19 anni fa Virzì portò alla Mostra “Ovosodo”. Anche allora i critici gridarono allo scandalo. Ma poi quel film è stato ampiamente rivalutato».
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Il Messaggero