ROMA L'immagine-simbolo del tentato colpo di Stato in Turchia probabilmente è quella del volto del presidente Erdogan che, a un passo dall'essere destituito, parla...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Peccato che nel 2016 un atto simile abbia un effetto quasi nullo, visto che la tv non è più il mezzo utilizzato per comunicare o per informarsi. Oggi i social network, che permettono di venire a conoscenza di un fatto in tempo reale, hanno completamente preso il posto dei media tradizionali. Proprio come in un moderno golpe tecnologico.L'esercito ribelle in Turchia ha in effetti tentato di oscurare i principali social network, fra cui Facebook, Twitter e YouTube, ma ciò non ha impedito allo stesso Erdogan di aggirare il blocco grazie a FaceTime, il servizio per le chiamate video dell'iPhone, con il quale è andato in onda in diretta, anche se dallo schermo di uno smartphone, sulla Cnn turca.
IL GOLPE NEL GOLPE
E poi di inviare, con un semplice sms, un proclama alla popolazione in cui si invitava a scendere in piazza e resistere. Una mossa che si è rivelata determinante per le sorti della sua leadership. Anche qui c'è stata una sorta di golpe nel golpe: il modo spesso utilizzato dal governo in Turchia per ostacolare le comunicazioni fra gli oppositori è stato utilizzato dagli oppositori stessi e il potere che stava per essere rovesciato si è difeso con gli stessi mezzi. Una cosa vista già con la primavera araba, dove i social network hanno svolto un ruolo fondamentale nelle proteste che hanno sovvertito i governi in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen. Senza contare che in moltissimi, nella lunga notte turca, hanno usato app come Periscope, che permettono di registrare e diffondere video in diretta streaming, inondando letteralmente il Web con le immagini concitate di quanto stava accadendo a Istanbul e Ankara. E quando l'esercito, con scarso successo, ha provato a fermare i social, Anonymous ha diffuso online dei manuali che spiegavano come connettersi all'Internet parallelo, il cosiddetto deep Web. Non ce n'è stato bisogno. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero