Il pentito Riccardo conferma in aula i rapporti con la Cetrone: «Gina sapeva chi eravamo»

Gina Cetrone
 Quando parla di lei la chiama per nome, Gina. E racconta degli incontri per organizzare le sue campagne elettorali, quella del 2013 per la Regione Lazio e quella del 2016...

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 Quando parla di lei la chiama per nome, Gina. E racconta degli incontri per organizzare le sue campagne elettorali, quella del 2013 per la Regione Lazio e quella del 2016 per l'amministrazione comunale di Terracina. Gina è la Cetrone, imputata nel processo nato dall'operazione Scheggia' insieme all'ex marito Umberto Pagliaroli, ad Armando Lallà Di Silvio e ai figli Gianluca e Samuele, accusati a vario titolo di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata aggravati dal metodo mafioso. E ieri, in video collegamento dal carcere dove è detenuto, a raccontare i rapporti con l'ex consigliera regionale c'era ancora una volta il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo, chiamato dal pubblico ministero Luigia Spinelli per supportare la ricostruzione dell'accusa sulle campagne elettorali e le intimidazioni commesse dagli esponenti del clan di Campo Boario per conto della Cetrone. Dopo che in apertura di udienza il Tribunale ha accolto la richiesta della difesa della Cetrone, rappresentata dall'avvocato Lorenzo Magnarelli, di ascoltare gli operatori di polizia giudiziaria che avevano l'incarico di sorvegliare Riccardo ritenuto un pericolo per l'imputata e ha acquisito la documentazione depositata dall'accusa tra cui la sentenza definitiva di Don't Touch e le sentenze della Cassazione a carico di Riccardo e Pugliese per Alba Pontina, il collaboratore ha raccontato con dovizia di particolari i suoi rapporti con Cetrone e Pagliaroli che gli erano stati presentati già nel 2013 dal neo eletto sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi. Un rapporto proseguito anche dopo il 2015 quando Riccardo è passato dal gruppo Travali al clan Di Silvio. «Avevamo curato la campagna elettorale di Pasquale Maietta per la Camera, ci siamo incontrati presso la loro azienda, ci siamo messi d'accordo e abbiamo preso l'appalto per l'attacchinaggio dei manifesti per le elezioni del 2016 a Terracina: garantivamo affissione e compravendita di voti. Al momento dell'accordo c'eravamo io, Pugliese, Armando Di Silvio e Pagliaroli. Conoscevo Gina e la sua casa e anche quella della madre a Capocroce». E ancora date e cifre: 22mila euro dei quali 15mila in contanti e gli altri 7mila con cambiali da mille euro ciascuna che Pagliaroli recuperava alle scadenze versando il corrispondente in contanti. «Avevamo buoni rapporti, ci sentivamo spesso e comunicavamo anche con Messenger e whatsapp. Gina sapeva benissimo chi eravamo» ha precisato il pentito. Poi in aula è stato ascoltato Gianluca D'Amico, vittima di una estorsione sempre per i manifesti elettorali mentre il controesame di Riccardo da parte del collegio di difesa Angelo Palmieri, Domenico Oropallo, Lorenzo Magnarelli e Oreste Palmieri ci sarà nella prossima udienza, il 7 settembre.


Elena Ganelli
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Il Messaggero