Il pecorino romano? È sardo. I produttori laziali: via il Dop

Il pecorino romano? È sardo. I produttori laziali: via il Dop
La guerra del Pecorino romano è alla battaglia finale. I produttori caseari del Lazio, che insieme ai colleghi sardi costituiscono il consorzio di tutela del formaggio...

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La guerra del Pecorino romano è alla battaglia finale. I produttori caseari del Lazio, che insieme ai colleghi sardi costituiscono il consorzio di tutela del formaggio italiano più venduto nel mondo, dopo il parmigiano, hanno chiesto all’Unione europea di cancellare la Dop omonima. E’ la prima volta che accade nella storia del mercato unico continentale.


LE POSIZIONI
Il braccio di ferro tra i due “proprietari” della denominazione di origine protetta, il marchio concesso alle produzioni agroalimentari di qualità e riconoscibilità concesso dalla Ue, non ha decretato un vincitore tra i comparti produttivi del Lazio e della Sardegna. E la realtà dei fatti fa comprendere immediatamente quale sia l’oggetto della controversia: dei circa 250 mila quintali di pecorino romano venduto in tutto il mondo ogni anno - per un controvalore di 20 milioni di euro - la quota romana rispetto a quella sarda è pari a poco più del 3%. Non potendo utilizzare in nessun modo la denominazione “romano” per qualsiasi altro formaggio prodotto nel Lazio, le aziende casearie hanno deciso di utilizzare l’ultima carta a disposizione: il divorzio e la conseguente soppressione del marchio. 
Il nodo del contendere è evidentemente economico. Ma non solo. Attualmente il consorzio di tutela di questo prodotto, simbolo dell’eccellenza agroalimentare tricolore, e’ targato Sardegna. Gli allevatori e le aziende casearie laziali, concentrate soprattutto nelle province di Roma e Viterbo, hanno via via lasciato l’ente con sede a Macomer (Nuoro). 

Il Pecorino romano in vendita oggi, anche nella stessa Capitale, proviene quasi tutto dall’isola; mentre il latte delle pecore del Lazio viene utilizzato o per altri formaggi non a marchio, oppure finisce in aziende toscane e umbre per realizzare la fortuna di altri imprenditori. Tutto questo ha portato all’uscita di allevatori e produttori laziali dal remunerativo mercato della Dop, che pure ha nel certificato di nascita il proprio nome.
Nella richiesta di intervento di Bruxelles sulla dop del Pecorino romano, istituita nel 1969, cinque tra i maggiori industriali lattiero-caseari del Lazio (compresi gli unici tre rimasti nel consorzio) chiedono di mettere fine «al perdurare di una comunicazione ingannevole nei confronti del consumatore». Ma anche di mettere fine al divieto imposto «ai produttori laziali di utilizzare il riferimento al territorio sul quale producono». A questa richiesta di modifica del disciplinare della dop, peraltro avanzata ripetutamente negli anni scorsi ma sempre contrastata dai colleghi isolani, viene avanzata la proposta di tutelare gli stessi con il marchio Pecorino sardo Dop.

La richiesta, spedita anche al ministero delle Politiche agricole, chiede come extrema ratio «di escludere il territorio della Regione Lazio dalla zona di produzione del Pecorino romano dop, e quindi alla cancellazione della Dop stessa». Al loro fianco i rappresentanti della filiera lattiero-casearia ovina del Lazio hanno trovato la Coldiretti regionale.

Allevatori in larga misura di origini sarde, arrivati nelle campagne laziali negli anni ‘80 e ‘90 quando era difficile trovare personale per allevare pecore. Oggi gli stessi pastori rischiano di essere sbattuti fuori mercato dalla concorrenza interna, visto che nel Lazio un litro del loro latte non può essere venduto a meno di 0,80 euro («A meno di cosi chiudiamo», ribadiscono), mentre in Sardegna il prezzo della stessa materia prima e’ tra i 50 e i 60 centesimi. Il tutto, tradotto al consumatore finale, porta a una differenza di costo finale del Pecorino romano anche di 2 euro al kg. Quei 2 euro che i produttori laziali non incasseranno mai perché non sono loro a fare il mercato.
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Il Messaggero