Paolo Genovese: «Ora mi dedico al mio primo film tutto americano»

Paolo Genovese: «Ora mi dedico al mio primo film tutto americano»
A metà gennaio volerà a New York per preparare la sua sfida più ambiziosa: un film tutto americano, Il primo giorno della mia vita. Intanto, il 12,...

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A metà gennaio volerà a New York per preparare la sua sfida più ambiziosa: un film tutto americano, Il primo giorno della mia vita. Intanto, il 12, andrà in onda su Canale 5 Immaturi, la serie ispirata alle sue fortunate commedie cinematografiche mentre The Place registra l’ottimo incasso di 4 milioni e 400mila euro e all’orizzonte si profila un’altra serie, Tutta colpa di Freud. È più che positivo, nell’anno che si chiude, il bilancio di Paolo Genovese, mentre alla 22ma edizione di Capri-Hollywood, il festival organizzato da Pascal Vicedomini, in programma fino al 2 gennaio sull’Isola Azzurra, verrà presentato Perfectos desconocidos, remake spagnolo di Perfetti sconosciuti diretto da Alex de la Iglesia, campione d’incassi e primo rifacimento dei tanti attesi nel mondo.


De la Iglesia ha rispettato l’originale?
«Per tre quarti sì ma al mio finale amaro ha preferito una conclusione grottesca. Il tema, la scarsa conoscenza che abbiamo di chi ci sta vicino, è tuttavia rimasto immutato. Sono andato ad applaudire il film all’anteprima di Madrid».

Perfetti sconosciuti ha incassato da noi oltre 17 milioni e vinto premi ovunque, anche al Tribeca Festival. Cosa, a parte gli onori e i profitti, le ha regalato?
«La libertà di girare un film anticonvenzionale come The Place e la fiducia degli attori che hanno accettato di interpretarlo. Senza contare l’autonomia creativa, riconosciutami da Medusa e Leone Film Group che produrranno anche Il primo giorno della mia vita».

Di cosa parla?
«Il film è un “dramedy”, un misto di commedia e dramma. Protagoniste sono quattro persone che toccano il fondo e trovano poi la forza di risalire a galla: il tema è proprio la bellezza della rinascita e il finale sarà ottimistico, adatto ai nostri tempi cupi che esigono speranza».

Ci saranno attori italiani?
«No, il cast sarà tutto americano perché il film verrà girato in inglese a New York, una città in cui le diverse culture convivono da sempre. Prima dell’inizio delle riprese uscirà da Einaudi il mio romanzo omonimo».

Si aspettava il successo di The Place?
«Forse no. Sapevo di aver girato un film ambizioso e per molti versi rischioso ma gli spettatori, che avevano amato Perfetti sconosciuti, mi hanno dato fiducia e sono tornati a riempire i cinema».

Uscire dal seminato paga?
«Senza dubbio. Il pubblico devi meritarlo e soprattutto contenderlo alla concorrenza più forte, quella casalinga: perché la gente rinunci a vedere le serie tv, che prendono sempre più piede, devi realizzare film sorprendenti, inattesi, capaci di stimolare la discussione».

Anche lei si è convertito alle serie.
«Rappresentano una sfida interessante, una forma narrativa diversa che permette l’approfondimento. Sia di Immaturi sia di Tutta colpa di Freud, una storia incentrata su un padre che cresce tre figli da solo, io non sarò il regista, bensì lo showrunner, cioé l’autore e il coordinatore».

Immaturi ha lo stesso tema dei film che tra il 2011 e il 2012 hanno sbancato i botteghini?
«Racconta, in otto puntate dirette da Rolando Ravello, un intero anno di scuola di un gruppo di adulti costretti a tornare sui banchi quando il Ministero annulla il loro esame di maturità. Ci sono attori giovanissimi accanto a Ricky Memphis, Paolo e Luca, Paolo Calabresi, Irene Ferri, Sabrina Impacciatore, Ilaria Spada, Maurizio Mattioli. Mancherà Raoul Bova che aveva altri impegni».

È immaturo anche il cinema italiano che arranca al box office?
«Il nostro cinema deve imparare a fare i conti con le nuove esigenze del pubblico che ha scoperto il racconto a puntate. Altrimenti rischia di fare la fine dell’impero Blockbuster, sparito per aver sottovalutato il consumo dei film in rete. Bisogna fare film straordinari e soprattutto spingerli sul mercato internazionale».

Voi registi non avete colpe?

«Certo, a volte pensiamo poco al pubblico. Per questo considero il mio più grande successo aver conquistato gli spettatori che oggi vengono a vedere i miei film a scatola chiusa. È una grande responsabilità, ma che gioia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero