«Montalbano sono, quello dei record d’ascolto in tv». Potrebbe dire così di sé e del personaggio che interpreta il camilleriano Zingaretti....
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Il segreto di tanto successo? La Sicilia, naturalmente, anche se essa viene usata come una fabbrica di cartoline illustrate da spedire agli italiani seduti in poltrona. C’è tanta Sicilia in questa nuova serie camilleriana, ma una Sicilia che nulla ha a che vedere con le vicende narrate; una Sicilia che se ne sta sullo sfondo, come cartolina, appunto. Mettiamo la puntata dell’altro ieri: una storia dura, angosciosa, a tratti raccapricciante, che avrebbe potuto svolgersi in qualunque angolo d’Italia, Francia, Germania, Svezia. Solo quel mare di aspetto umile, quel subbuglio di ruderi greci, quel barocco paesano a “dire” che quella era la Sicilia. Sullo sfondo anche la mafia, sfiorata, ma rimasta lontana come un mito di cui sempre si parla ma che non si tocca mai con mano.
Un po’ come avviene quando i turisti si recano in Sicilia: il mare, gli antichi templi, le chiese barocche, i cannoli e le granite, i mafiosi regolarmente assenti ai loro occhi. Più che a Camilleri, il successo di questa serie televisiva si deve al regista e agli sceneggiatori, i quali si sono tenuti giudiziosamente lontani dalla Sicilia del feudo, quella di Palermo, di Trapani o di Caltanissetta. Se nei racconti che hanno per protagonista il commissario Montalbano vi fosse il paesaggio scelto da Tomasi di Lampedusa per “Il gattopardo”, tutto naufragherebbe in un già visto, in una scontata drammaticità da intramontabile cavalleria rusticana.
In questo usato sicuro firmato da Alberto Sironi, il protagonista delle storie narrate non abita in una villa settecentesca alle porte di Palermo o di Bagheria, ma in una casetta in riva al mare concepita, si direbbe, da un geometra di modeste pretese (terrazza con scenografica balaustra compresa). Non c’è il violento paesaggio di Portella della Ginestra o di Corleone, ma quello luminoso e pacifico di Modica e Scicli. Non c’è il mare di S. Vito Lo Capo o di Capo Calavà, ma quello discreto e affabile che da Mazara del Vallo corre fino a Pachino; quello su cui (paradossi della storia) nel luglio del 1943 si avventò la più potente delle armate fino ad allora impiegate in una guerra. Cartoline dalla Sicilia con una spruzzatina di espressioni sicule, e il gioco è fatto. Naturalmente senza dimenticare che – come ebbe a dire Ojetti – «siamo sempre i meridionali di qualcuno».
L’ISOLA
E così, ecco nell’isola del sole gli extracomunitari e le giovani ragazze dell’Est guadagnarsi da vivere accettando i lavori più umilianti e duri. Vigata come Foggia, ma anche come Torino o Verona. La realtà d’oggi, insomma. Eppure resta ancora qualcosa da chiarire in questo successo camilleriano. Qualcosa che mi ha portato a riprendere in mano il celeberrimo scritto di Umberto Eco dedicato alla “fenomenologia di Mike Bongiorno”. Come quel “bravo” presentatore, il commissario Montalbano si serve dei clichés più scontati, convincendo il pubblico, “con un esempio vincente e trionfante, del valore della mediocrità”. E dell’altro aggiungeva Eco, che sembra essere stato scritto per il Montalbano televisivo: «Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale e farebbe la gioia di un neo-positivista. Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui».
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Il Messaggero