La politica può essere mite. Ce n’eravamo mai accorti? Sergio Mattarella ha provato ad affermare, nel tono, nello stile, nella pratica del suo primo anno al...
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Nel discorso di Capodanno ha insistito sulla difficoltà della vita quotidiana dei cittadini - i trasporti pubblici malfunzionanti, l’inquinamento delle città, il degrado - e sul tema della corruzione che è un suo pallino. Ha definito «un cancro» la corruzione, e un «furto di democrazia». Ma senza approcciare l’argomento in maniera moralista. Per esempio così: «La corruzione crea sfiducia, inquina le istituzioni, altera ogni principio di equità, penalizza il sistema economico, impedisce la valorizzazione dei talenti e distrugge le speranze dei giovani». Malaffare contro meritocrazia: questo è un aspetto della metastasi. E la zona grigia, ossia «l’ambiguità, come ha detto ieri a Cosenza, rappresenta uno dei punti più sensibili della questione: «Vanno ridotti gli spazi del losco compromesso». E dunque Mattarella, mai risucchiato nella gomma retorica, è sembrato sapersi calare nelle pieghe e nelle viscere della società italiana, dove allignano i comportamenti scorretti ma sono di gran lunga prevalenti le potenzialità che meritano di essere aiutate ricreando la «fiducia».
LA FORMULA
Aveva cominciato dicendo che sarebbe stato un «arbitro imparziale» e chiedendo «la collaborazione dei giocatori». Sembra essere riuscito nel doppio intento. Mai troppo appiattito sul governo, si veda la sferzata contro l’evasione fiscale, mai antagonista di Renzi a cui riconosce il miglioramento della condizione economica e lo sforzo sulle riforme, il suo equilibrio ha come annichilito le eventuali insofferenze di chi, come Forza Italia e Berlusconi, non lo ha votato per il Colle. La Formula Mattarella è fatta di continuo richiamo alle regole (anche quelle della non vicendevole invasione di campo tra i vari poteri, a cominciare dal proprio); di rispetto della dialettica parlamentare (coniugato alla moral suasion verso gli attori politici e dall’espressione di dubbi, per esempio sulla costituzionalità della legge riguardante le unioni civili); di tessitura tra i vari pezzi del Paese, tra politica e società, tra Italia e Europa (primi viaggi: a Bruxelles e a Berlino e poi giri per il mondo che vede attraversato da «germi di terza guerra mondiale»), tra Italia e Stati Uniti (e intanto ha graziato alcuni dei militari Usa del sequestro Abu Omar ma già liberi). E non è vero che ha parlato poco Sergio Il Calmo. Ha usato il linguaggio immediato delle mosse: l’uso del treno e di voli di linea quando è in viaggio privatamente, la quasi completa apertura al pubblico del Palazzo del Quirinale, l’aver scelto come abitazione un piccolo appartamento dentro la sterminata residenza che fu dei papi. E nel modo di esprimersi, non ha avuto bisogno di allertare paroloni, gonfiare verbi, seminare superlativi. A volte sembra usare la secchezza del tweet: «Sono aumentate le ingiustizie, è aumentata la povertà».
IL PUNGOLO
Lo stile della sua presidenza è diverso da quella dei predecessori. In quanto improntata a ciò che è stato chiamato un «carisma passivo». Fatto per esempio di critiche ai magistrati che non devono essere «nè burocrati nè protagonisti assoluti del processo» e insieme di riconoscimenti profondi per il loro ruolo. O di parole nette sullo stallo dell’elezione dei giudici costituzionali. «Questo vuoto non può continuare», ha scandito il presidente intervistato dal «Messaggero» il 10 dicembre. E sei giorni più tardi, il Parlamento in un sussulto di dignità ha eletto Barbera, Modugno e Prosperetti. E ancora. Durante il viaggio a Giacarta, i giornalisti italiani gli hanno chiesto della legge elettorale e lui: «L’Italicum non interessa all’estero». Parole dissonanti rispetto a quelle di Renzi: «L’Italicum ce lo copierà mezza Europa». Ma è inutile cercare di vedere centrasti tra i due. Anche se di Bankitalia, criticata dal governo, Mattarella ha preso le difese. Non ha fatto sconti sugli istituti di credito in default. Ritiene poco conveniente l’atteggiamento muscolare del capo del governo nei confronti di Bruxelles e Berlino. Il tutto agendo come un effetto placebo in un Paese troppo eccitato.
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Il Messaggero