Massari: «Siamo riusciti a imporre il tema alla Ue, ma a Bruxelles ancora troppi egoismi»

Massari: «Siamo riusciti a imporre il tema alla Ue, ma a Bruxelles ancora troppi egoismi»
Da Mosca a Washington, dalla Serbia-Montenegro al timone del servizio stampa della Farnesina, dall’Egitto con il “caso Regeni” a rappresentante, oggi,...

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Da Mosca a Washington, dalla Serbia-Montenegro al timone del servizio stampa della Farnesina, dall’Egitto con il “caso Regeni” a rappresentante, oggi, dell’Italia presso l’Unione Europea. «L’Italia – dice l’ambasciatore Maurizio Massari – è un fattore imprescindibile della costruzione europea, fondamentale su tutte le tematiche principali. A Bruxelles, però, gli Stati promuovono in primis, “egoisticamente”, interessi nazionali: domina la dinamica inter-governativa. E l’Italia, se vuole ulteriormente crescere di peso, dovrebbe incrementare la propria coesione nazionale».


Via provincialismi, campanilismi e fragilità politiche?
«Stare in Europa è imprescindibile. L’anti-europeismo non ha fondamento nella realtà: l’Europa è l’unico “game in town”, non c’è alternativa. Ma per difendere meglio i propri interessi l’Italia dovrebbe dotarsi di una strategia di sistema, su basi condivise pur nelle diverse articolazioni politiche».

Sui migranti l’Europa in concreto non ci sostiene. Perché? 
«L’Italia ha avuto il merito di spostare su questo tema il peso dell’agenda europea. Un anno fa, a Bratislava, l’allora primo ministro Renzi dovette lottare perché fosse menzionata l’Africa come elemento di criticità strutturale per le politiche migratorie. Passi avanti ne abbiamo fatti tanti: piani d’azione della Commissione per una gestione complessa del fenomeno, inclusi gli aiuti ai paesi africani, il piano sulla Libia lo scorso febbraio a Malta, e adesso la discussione sulla regionalizzazione in ambito Frontex degli sbarchi».

Che cosa manca ancora?
«La solidarietà concreta degli Stati membri, la condivisione degli oneri di un problema che è europeo e non solo italiano. Non parlo solo dei paesi dell’Est, ma della maggior parte dei paesi membri».

Sulla minaccia di chiudere i porti abbiamo battuto il pugno. È servito? 
«Abbiamo ottenuto l’avallo dell’Europa a un codice di condotta nazionale per le Ong che verrà emanato nei prossimi giorni. E abbiamo ottenuto di ridiscutere Triton, il piano operativo di Frontex, per una solidarietà più diffusa: a Varsavia è stato appena avviato un gruppo di lavoro ad hoc con l’Italia».

Intanto la Francia riunisce Al Serraj e Haftar…
«L’Italia svolge un ruolo primario nella stabilizzazione della Libia, decisiva per risolvere il problema migratorio. Qualsiasi iniziativa può essere utile se condivisa. Sono coinvolti attori europei, internazionali e regionali e un paese da solo non può fare molta strada».

Quali sono i rischi della Brexit?
«L’Italia sostiene la linea negoziale di Barnier e della Commissione, basata su una prima fase in cui si trattano i termini del divorzio, e una seconda sui rapporti futuri. Nella prima ci siamo concentrati sui diritti dei cittadini Ue e in particolare dei nostri connazionali in Gran Bretagna. Le posizioni si sono ravvicinate, ma i britannici ancora non riconoscono il ruolo della Corte di Giustizia europea. E c’è lo stallo sulle pendenze finanziarie: Londra deve capire che la Brexit ha un costo. Senza accordo finale, le ripercussioni saranno negative per tutti ma più per il Regno Unito».

C’è o no un’inversione della deriva populista?
«L’inversione è stata segnata dalle elezioni olandesi e francesi. Attenzione però: le elezioni non sono finite. Ci sono quelle austriache in autunno e le nostre, sulle quali non mi esprimo. C’è senz’altro un’inversione che va però consolidata con la produzione di risultati concreti della Ue sulle sfide che interessano i cittadini: sicurezza, crescita, investimenti… Senza, si re-innescheranno le forze populiste e centrifughe».

Quanto è unita l’Europa a 27?
«L’unità a 27 non può essere fine a se stessa, se paralizza le decisioni si trasforma in boomerang e favorisce le forze populiste. Sulle sfide urgenti occorrono decisioni rapide ed efficaci. O l’Europa a 27 ne è capace, o le diverse velocità, come in economia, diventano strumento indispensabile contro negoziati interminabili».

A settembre si vota in Germania…

«Sì. Ed è probabile e auspicabile che dopo riparta il movimento in avanti della Ue. L’Italia è pronta a dare il suo contributo all’Eurozona: dopo tante misure di “riduzione del rischio” in campo fiscale e bancario, è il momento di costruire un’impalcatura  di “condivisione del rischio”, completando l’Unione bancaria e gettando le basi per un bilancio comune dell’Eurozona. L’obiettivo è puntare alla crescita e agli investimenti, e consolidare i segnali di ripresa». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero