«Nessuno ha abbandonato o pensato di abbandonare il Mediterraneo. E se la Libia si stabilizza e ottiene di tornare alla normalità anche con una propria area di Search...
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LE POLEMICHE
«Sono chiacchiere sull’acqua. Noi non abbiamo chiesto all’Europa di rafforzare le missioni internazionali, e non vogliamo impedire o limitare i soccorsi umanitari. C’è un clima contro di noi costruito non so bene da chi e per quali fini», dice il prefetto. L’impressione, aggiunge, è che «si voglia alterare la realtà rispetto a quanto accade davvero, anche perché, in mare i volontari ci sono ancora visto che le navi di Moas, Sos Mediterranée e Proactiva Open Arms hanno ripreso il loro posto». I soccorsi in mare hanno come tassello fondamentale la presenza delle navi “militari” Sophia e Triton, che già oggi, insieme alla Guardia costiera, gestiscono la maggioranza dei salvataggi. Ma, appunto, posto che gli arrrivi sono calati, solo Msf ha deciso «definitivamente» di lasciare l’area mentre altre organizzazioni hanno parlato di stop temporaneo.
Anche la decisione della Libia di chiedere il riconoscimento della sua area Sar è stata piegata alla polemica politica, dice ancora Morcone: «La Libia ha chiesto all’Imo, Organizzazione marittima internazionale, la restituzione dell’area Search and rescue che le era stata attribuita all’epoca di Gheddafi. È un passaggio obbligato, nell’ottica della normalizzazione del paese e della stabilizzazione del governo di Tripoli, già riconosciuto dalle autorità internazionali, specie europee». Le tappe successive prevedono, aggiunge, che nasca un centro di coordinamento dei soccorsi anche in Libia: «È normale che la pacificazione del paese includa l’esistenza di un Mrcc libico che coordina i soccorsi nella sua area Sar ed è abilitato a contattare l’Italia e Malta per decidere come gestire i salvataggi in mare».
L’IMPEGNO DELL’ONU
Da qui a dire che l’Italia accetta che i migranti riportati a terra siano torturati o privati dei diritti fondamentali, però, ce ne passa, spiega: «Per noi è un elemento fondamentale, un punto di caduta su cui si regge tutto il sistema, che nascano quanto prima luoghi di accoglienza in Libia sotto il controllo dell’Onu». Il tema, del resto, è stato al centro anche dell’incontro con l’inviato delle Nazioni unite Ghassan Salamé dei ministri degli Interni, Marco Minniti, della Difesa, Roberta Pinotti, e degli Esteri, Angelino Alfano. E alcuni rappresentanti di Unhcr, nelle scorse settimane, hanno visitato due zone della Libia, in particolare a nord e nell’aerea di Cufra, per valutare dove e come potrebbero essere realizzati i primi luoghi di assistenza in vista di progetti di rimpatrio volontario assistito. A settembre, sarà una delegazione italiana a visitare l’area mentre, nelle scorse settimane, Bruxelles ha stanziato i primi 47 milioni di euro per dar vita al progetto (che ha anche l’approvazione della cancelliera tedesca, Angela Merkel). I piani italiani per la stabilizzazione della Libia anche sul versante umanitario non si fermano, assicura il capo di gabinetto del Viminale. «La prossima scadenza operativa è l’appuntamento che il ministro Minniti ha fissato con il tavolo di crisi a cui partecipano anche rappresentanti della Libia, del Ciad, del Niger e della Tunisia», spiega, «tra due settimane, il 28 agosto». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero