Insieme ai corvi del Vaticano, i mafiosi dell'Urbe attirano la curiosità internazionale e riattivano stereotipi su Roma non del tutto immeritati per certi aspetti ma spesso...
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PROCESSO KOLOSSAL
Questo sembra il cliché sensazionalistico che i media stanno cercando nel kolossal del processo la cui seconda puntata é prevista per il 17 novembre e il fatto che il set sarà spostato nell'aula bunker di Rebibbia renderà probabilmente il brivido international ancora più forte, il clima da descrivere ancora più torvo e l'occhio residuo del "Pirata di Roma" - così Al Jazeera chiama Carminati - ancora più capace di creare panico a reti unificate.
Tra tutti i titoli comparsi nel mondo, in queste ore, di gran lunga il migliore é quello di Le Monde. Dice così: «Roma si gioca la sua reputazione. E i romani si strozzano di rabbia». É la descrizione più azzeccata perché non racconta l'Urbe adagiata nel proprio fango ma come una città che ci tiene alla propria reputazione e cerca di recuperare il proprio onore anche attraverso questo processo. Mentre altrove, nel nuovo racconto su Roma che é figlio di quella rottura tra l'Urbe e l'ammirazione da parte del mondo che si é platealmente manifestata durante gli anni della giunta Marino, si nota l'innesco di un meccanismo automatico. Del tipo: dopo Gomorra, Suburra. Sul Daily Beast, un sito influente, compare questo titolo sotto la foto di Carminati: "One-Eyed Gangster and his 40 Thieves" (Il Cecato e i 40 ladroni). Ma soprattutto si legge nel pezzo: «Stiamo guardando il massimo punto del declino e della caduta della città». Come se tutta Roma fosse Mafia Capitale. Come se la ex Caput Mundi fosse una città destinata a un'infinita decadenza cominciata nell'ultima fase imperiale a cui Edward Gibbon dedicò il suo capolavoro: "Declino e caduta dell'impero romano".
Hanno buon gioco gli inviati al processone a fare paragoni come quello espresso da Simen Ekren del quotidiano norvegese Morgenbladet: «Da noi, se un politico compra un pianoforte con i soldi pubblici, deve dimettersi. Qui, no». E gli fa eco un'altra inviata, Megan Williams, della canadese Cbc: «Colpisce dell’Italia che chi è coinvolto in casi di corruzione raramente sparisce dalla politica». Dunque dall'estero si aspettano che Coratti o Tredicine, passata la bufera, tornino a dominare il consiglio comunale? Al folk c'è un limite. E comunque, insieme alla giustissima severità, convive dentro lo sguardo di chi osserva Roma con occhi stranieri il giudizio, tra esotismo e snobismo puramente letterario, che Henry James dava di questa città: «Si ama la sua corruzione più dell'integrità di altri luoghi».
TITOLI
Scorrendo i titoloni in queste ore, si va dal Pais con "La Mafia de Roma se sienta en lo banquillo" (la mafia si siede nel banco degli imputati) al Guardian che parla della "sistematica corruzione" o a Newsweek che conia la "New Mega Mafia in Rome". Formule non dettate dal livore ma dalla realtà, e ci deve essere probabilmente anche un groppo in gola da parte dei media stranieri a dover descrivere questa situazione. Se é vero, come é vero, che negli ultimi tempi Roma é vittima (non incolpevole e guai ad essere auto-indulgenti) di quello che il New York Times chiama il "Tough Love". Ossia l'amore che smette di accettare tutto e perdonare tutto ma dice basta e chiede conto e serietà. Il che va benissimo, a patto che la tragedia - non solo romana ma italiana - di Mafia Capitale non finisca in caricatura. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero