Ong nel mirino. La stretta sulle navi dei soccorsi che operano nel Mediterraneo è partita ancora prima che il Codice di condotta stilato dall’Italia su mandato...
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REGOLE COMUNI
Contestualmente è partita una nota dello stesso tenore alla Direzione generale della mobilità e dei trasporti della Commissione europea, «per valutare, parallelamente la possibilità di definire degli standard comunitari per la certificazione delle unità dedicate alle operazioni di salvataggio che battono la bandiera degli Stati membri dell’Ue». E ancora, è stato richiesto «alle amministrazioni di bandiera delle unità attualmente impiegate dalle Ong di provvedere a eventuali controlli e azioni nell’ottica del comune interesse, al fine di garantire la massima sicurezza possibile delle operazioni Sar in linea con gli orientamenti espressi dalla Commissione Difesa». A questo proposito è stato fatto uno specifico riferimento al Belize, la cui bandiera è issata sulla “Phoenix”, nave di riferimento del Moas (Migrant offshore aid station), che ha sede a Malta.
L’ammiraglio ha indetto un tavolo di confronto con le stesse Ong per il 13 luglio. Visto che, in qualche caso, è dubbia anche la capacità di queste imbarcazioni di provvedere ai soccorsi. Nelle note inviate agli enti si fa riferimento a due unità impiegate dalle organizzazioni (battenti bandiera tedesca e olandese), che avrebbero lanciato un Sos per se stesse e non per il salvataggio dei migranti, in quanto non attrezzate «per gestire autonomamente un elevato numero di naufraghi da soccorrere e ricoverare a bordo». «Si è pertanto posta la questione - è specificato negli atti - di come poter verificare l’adeguatezza operativa di quelle unità che, pur non essendo formalmente inquadrate nell’organizzazione di soccorso italiana, operano quasi esclusivamente sotto il coordinamento di questo Imrcc (Centro di coordinamento del soccorso), al di fuori dell’area Sar di specifica responsabilità italiana, ma senza alcuna certificazione che attesti la loro idoneità al servizio. Alcune di queste, a esempio, sono certificate solo con “pleasure craft” (imbarcazioni da diporto)».
Da qui la necessità di fissare dei precisi standard comunitari per la certificazione. Un modo per rendere meno “anarchica” la flotta umanitaria. Perché, sebbene la Guardia costiera ritenga utile e necessario l’aiuto delle barche delle Ong, negli ultimi mesi si sono verificati troppi sconfinamenti nelle acque libiche, con il risultato di agevolare gli affari dei trafficanti di esseri umani.
FORTI REAZIONI
L’operazione “trasparenza” è anche al centro del codice di condotta stilato dal ministero dell’Interno, che spera ancora di riuscire a ottenere che le navi si rechino verso altri porti, oltre a quelli italiani. Una questione molto complessa che scatenerà forti reazioni tra gli operatori umanitari che si sentono messi sotto accusa ingiustamente. Un paio di giorni fa, infatti, è stata fermata in porto a Palermo la “Vos prudence” di Medici senza frontiere: problemi burocratici, documenti non in regola. Il blocco ha suscitato l’indignazione di Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e docente di diritto d’asilo: «Infami - ha commentato - Hanno cominciato ad attuare il piano Minniti. Adesso ci vorranno avvocati pronti a ogni sbarco e denunce per abuso d’ufficio quando necessario».
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Il Messaggero