Kobane, la controffensiva dei curdi

Kobane, la controffensiva dei curdi
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LA GUERRA
NEW YORK La bandiera nera non sventola più sulla collina di Tel Shahir. Dieci giorni dopo che i miliziani di Isis avevano conquistato l'altura alla periferia ovest della città di Kobane, i combattenti curdi sono riusciti a riconquistarla. Una martellante serie di attacchi aerei condotti dai piloti americani e sauditi hanno dato ai curdi la copertura necessaria per ottenere questa piccola ma simbolica vittoria. Trenta bombe sono state sganciate sopra le postazioni dei miliziani nella sola giornata di lunedì, e continuavano a cadere anche ieri pomeriggio. Ma i testimoni raccontano che i combattimenti nella città ai confini con la Turchia sono oramai casa per casa: con un buon binocolo, i giornalisti accampati oltre la frontiera turca possono vedere i miliziani islamici affacciati alle finestre che sparano contro i curdi che resistono. Si è anche visto che i miliziani hanno fatto arrivare a Kobane nuove armi e rinforzi. È chiaro il loro piano di chiudere anche il terzo lato della citta, strangolandovi all'interno i membri della resistenza. E il mondo sa quale sarebbe la sorte di questi partigiani se Isis li catturasse: un'ecatombe.

L'OFFENSIVA DI ANKARA

E tuttavia i curdi che vivono in Turchia, o che erano fuggiti in Turchia davanti all'avanzata di Isis nel Nord della Siria non riescono a ottenere il permesso di rientrare nel proprio Paese per aiutare i loro fratelli in guerra. Il governo di Ankara, da tempo in lotta con una fazione terrorista dello stesso popolo curdo, il Pkk, prova una decennale diffidenza per il popolo nella sua interezza, inclusi i partigiani dell'Ypg che combattono in Siria contro gli estremisti dell'Isis. Per assurdo, invece di dare ai volontari curdi il lasciapassare per andare a combattere contro le milizie islamiste, la Turchia ha ieri bombardato alcune postazioni dei curdi stessi (quelli giudicati terroristi) nell'Est della Turchia, causando almeno una trentina di morti. Il divieto di entrare in Siria dalla Turchia è esteso anche alle varie centinaia di volontari che stanno arrivando dalle città europee. Avendo sentito le storie dei giovani estremisti islamici che lasciano Londra, Parigi, Amsterdam per andare ad aiutare le milizie di Isis, anche tanti giovani curdi vorrebbero andare a combattere, in difesa del loro popolo contro l'Isis, ma arrivati in Turchia rimangono fermi alle frontiere.
IL SUMMIT


Il problema della partecipazione o meno della Turchia alla coalizione anti Isis era uno dei temi discussi ieri alla Casa Bianca, nel corso del summit fra i venti Paesi che stanno partecipando all'iniziativa lanciata dal presidente Barack Obama. I soliti scettici hanno insinuato che il summit fosse una manovra politica di Obama, che si trova a tre settimane dalle elezioni di metà mandato. Il presidente in altre parole vorrebbe dimostrarsi in posizione di leader forte e deciso, considerato che negli ultimi sondaggi ha perso popolarità proprio sul fronte della lotta al terrorismo su cui era stato molto forte per i sei anni precedenti. Tuttavia osservatori esperti di strategia hanno promosso il summit come un appuntamento necessario per «sottolineare l'impegno Usa e rafforzare il sostegno degli alleati», come ha commentato l'ex generale Wesley Clark. Al summit erano presenti i capi di Stato maggiore di venti Paesi, inclusa l'Italia, rappresentata dall'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Tra i venti Paesi presenti c'erano anche l'Arabia Saudita e la Turchia. La prima sta partecipando attivamente ai bombardamenti contro Isis in Siria, la seconda sembrava aver trovato un accordo con gli Usa, ma a quanto pareva ieri mattina c'erano ancora molti particolari irrisolti, proprio riguardo la possibilità di aprire la frontiera ai volontari che vogliono andare a combattere a Kobane.
Anna Guaita
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Il Messaggero